La classifica dei primati enogastronomici con l’assegnazione delle Bandiere del gusto 2018 della Coldiretti: Campania regina seguita dalla Toscana e dal Lazio
Salgono al numero record di 5056 le Bandiere del gusto Made in Italy a tavola nel 2018, l’anno del cibo italiano nel mondo. Lo rende noto la Coldiretti che ha presentato la classifica dei primati enogastronomici con l’assegnazione delle “Bandiere del gusto 2018” e la più ricca esposizione della variegata offerta delle località turistiche nazionali durante quest’estate.
Le bandiere del gusto sono assegnate alle specialità censite dalle regioni che sono ottenute sul territorio nazionale secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni. Si tratta quest’anno – riferisce la Coldiretti – di ben 1525 diversi tipi di pane, pasta e biscotti, seguiti da 1428 verdure fresche e lavorate, 792 salami, prosciutti, carni fresche e insaccati di diverso genere, 496 formaggi, 253 prodotti della gastronomia, 176 prodotti di origine animale (miele, lattiero-caseari escluso il burro, ecc.), 150 preparazioni di pesci, molluschi, crostacei, 149 bevande tra analcoliche, liquori e distillati, 47 grassi, 38 condimenti e 2 birre artigianali.
Sul podio regionale è saldamente al primo posto la Campania che ha mantenuto i suoi 515 prodotti tradizionali, seguita dalla Toscana salita a 461 “gioielli” e dal Lazio stabile in terza posizione (409). A seguire si posizionano l’Emilia-Romagna (388) e il Veneto (376), davanti al Piemonte con 337 specialità e alla Liguria che può contare su 294 prodotti. A ruota tutte le altre Regioni: la Puglia con 276, la Calabria con 268 prodotti tipici censiti, la Lombardia con 248, la Sicilia con 245, la Sardegna con 198, il Friuli-Venezia Giulia con 169, il Molise con 159, le Marche con 151, l’Abruzzo con 148, la Basilicata con 114, la provincia autonoma di Trento con 105, l’Alto Adige con 90, l’Umbria con 69 e la Val d’Aosta con 36.
Tra i prodotti c’è una new entry della “panetteria” valdostana: il mecoulen, antichissimo pane dolce, un antenato del panettone, che le donne contadine preparavano in generose quantità così da poterlo gradire a Natale, ma anche oltre l’Epifania. E’ invece piemontese il fagiolo di Saluggia, una varietà di legume di piccole dimensioni storicamente impiegato in alcuni piatti tradizionali vercellesi come la Panissa, un tipo di risotto simbolo della gastronomia di questa provincia.
Viene dell’Abruzzo il pregiato pecorino di Farindola il cui nome richiama la triste vicenda della valanga che ha travolto l’albergo di Rigopiano, mentre è lucano il pomodoro secco ciettaicale di Tolve che contribuisce al risparmio idrico richiedendo pochissima acqua per la sua coltivazione.
Dalla Calabria proviene il finocchietto selvatico impiegato non solo come condimento ma anche come base per fare un liquore particolarmente digestivo. La Campania presenta la sua colatura di alici di Cetara, nobile discendente del Garum, che veniva usato dagli antichi romani come condimento universale, oggi preparato con la stessa passione di un tempo, secondo i precetti dell’antica tradizione della Costiera Amalfitana.
E restando nel campo dei condimenti c’è anche la saba dell’Emilia-Romagna, uno sciroppo d’uva che si ottiene dal mosto appena pronto, di uva bianca o rossa.
La rosa di Gorizia non è un fiore ma una varietà di radicchio coltivato in Friuli-Venezia Giulia, caratterizzato da un colore rosso intenso o da un rosso con sfumature che portano al rosa a seconda del tipo di selezione effettuata, leggermente amarognolo al gusto e croccante al palato.
E ancora le pregiate olive taggiasche della Liguria, piccole ma saporite, il fagiolo del Purgatorio di Gradoli (Lazio), il vino di visciole delle Marche, la manna siciliana, biblica linfa estratta dalla corteccia di alcune specie di frassini e il miele di barena che deriva dal nettare di una pianta (Limonium vulgare) caratteristica di alcuni territori lagunari del Veneto confinanti con l’acqua salmastra e soggetti alle maree.
Viene prodotta principalmente nelle valli della Valtellina, in Lombardia la slinzega, una variante della bresaola, chiamata anche carne secca, le cui origini sembrano risalire al 1400. Nasce da un errore l’antichissimo brigidino di Lamporecchio (Pistoia). Suor Maria del Convento toscano di Santa Brigida si adombrò parecchio quando, preparando le ostie come di consueto, le monache sfornarono un biscotto dalla sfoglia sottile sì, ma dai bordi “volanti”.
Rappresenta un vanto dell’Umbria la fagiolina del Trasimeno, un piccolo legume di forma allungata e di color crema, giunto a noi dall’Africa grazie alla infaticabile attività commerciale della civiltà etrusca. E per concludere ci sono “sa pompia”, frutto endemico sardo simile al limone che cresce solo nella zona della Baronia, le ferratelle molisane, golose cialde dall’originale forma cotte con uno strumento in ferro rovente e i cardoncelli pugliesi, una verdura selvatica dal gusto leggermente dolciastro.
“E’ questo il risultato del lavoro di intere generazioni di agricoltori impegnati a difendere nel tempo la biodiversità sul territorio e le tradizioni alimentari”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “si tratta di un bene comune per l’intera collettività e di un patrimonio anche culturale che l’Italia può oggi offrire con orgoglio sul palcoscenico mondiale”.
“L’Italia e il suo futuro sono legati alla capacità di tornare a fare l’Italia anche nell’offerta turistica, imboccando intelligentemente la strada di un nuovo modello di sviluppo che trae nutrimento dai punti di forza che – precisa Moncalvo – sono il proprio patrimonio storico ed artistico, il paesaggio e il proprio cibo”.