Sondaggio CNA SWG: anguria “regina” di Ferragosto e dell’estate secondo tre italiani su quattro. Il melone non entra nemmeno in partita
E’ l’anguria la regina di Ferragosto e dell’estate. A incoronarla un sondaggio CNA-SWG. Il melone non entra nemmeno in partita.
Quasi tre italiani su quattro considerano l’anguria l’alimento più adatto a combattere la calura estiva. Lo diceva anche Alberto Sordi: a Ferragosto faceva servire ai suoi amici un menù tipicamente romano (e pesantissimo) ma, in conclusione, “per rinfrescarsi si mangia il cocomero” tenuto a lungo nell’acqua con il ghiaccio.
Cocomero si chiama a Roma, melone d’acqua (come in inglese, water melon) o melone di fuoco in Campania, anguria nel resto d’Italia. E l’anguria per gli italiani è sinonimo soprattutto di estate e di freschezza, sottolinea il sondaggio CNA-SWG.
Il 73% degli interpellati nel sondaggio punta sull’anguria, con una leggera prevalenza dei maschi (74%) sulle donne (72%). I fan del melone si fermano al 27% con preferenze per genere invertite. Quanto alle fasce d’età, l’anguria trionfa tra i 45-54enni, con il 77% delle preferenze, mentre il melone subisce la sconfitta più onorevole tra i 55-64enni, con una propensione del 32%. I tifosi dell’anguria, infine, crescono via via che ci si allontana dalle Alpi. Nelle Isole toccano l’83%, nel Sud l’80%, mentre nel Nord-Ovest si arrestano (si fa per dire) al 61%.
L’anguria: come si gusta
L’anguria si mangia a fette per il 74% dei suoi fan (in prevalenza maschi, che raggiungono il 78%) e a cubetti per il rimanente 26%. E soprattutto (per il 72% degli interpellati) l’anguria si gusta da sola. Da sola basta e avanza. Per mangiare, bere e lavarsi la faccia, come recitava un adagio salernitano. Se proprio si vuole miscelarla, si può pensare alla macedonia (10%) o allo spiedino di frutta (8%).
Melone sì ma solo abbinato
Viceversa il melone: il 42% degli aficionado lo preferisce in compagnia del prosciutto contro il 38% di “puristi” e il 10% di amanti della macedonia. Mentre anche i “melonofili” lo mangiano di preferenza a fette (81%) più che a cubetti (19%).
Anguria: da strapaesana a trendy
Nella pianura pontina si fanno ancora le gare per l’anguria più grande. E il frutto presentato dall’agricoltore vincitore oscilla di solito intorno al quintale.
Mentre fino a qualche anno fa accorrevano da tutta la regione a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, per gareggiare a chi sputava il seme di cocomero più lontano.
Il successo dell’anguria, però, rimane solo in parte nazional-popolare. Da strapaesana sta sempre più diventando di tendenza. Sdoganata perfino da chef “trendy” che la presentano anche in versione salata da un capo all’altro dell’Italia: dall’ostrica virtuale al succo d’anguria su tartare di pesce a Ragusa.
L’anguria è entrata addirittura nel mondo dell’abbigliamento. A Londra da qualche anno spopolano i gemelli a forma di anguria venduti al mercatino di Covent Garden o nei negozi alle spalle di Jermin Street. E a forma di vivacissima anguria sono i secchielli in paglia che da borsa da mare sono stati trasformati in “must” anche nelle città assolate. Ma non mancano i calzini da uomo con sopra ricamate coloratissime fette di anguria.
Addio “king size”, “less is more”
L’anguria “king size” va sempre meno. “Less is more” è la nuova parola d’ordine. “Meno è più” ovvero “meno è meglio”. Nella società dominata dalle famiglie mononucleari, dove i gusti dei singoli la fanno da padrone e dove le case sono sempre meno spaziose, l’anguria da decine di chilogrammi diventa un controsenso. Negli ultimi anni, pertanto, la ricerca si è concentrata con successo sulla segmentazione e sulle esigenze del marketing. Oggi si cercano (e si trovano) angurie da pochi chili (da due a otto, di solito), anche a pasta gialla e senza semi, “seedless”. Il “seedless” è un’altra esigenza dei consumatori e per un Paese come il nostro, con spiccata vocazione all’export, non si può non tenerne conto.
Le preziose angurie giapponesi
Il prezzo delle angurie italiane è niente al confronto con le rarissime angurie giapponesi, da quelle nere di Densuke (provenienti dall’isola di Hokkaido, possono costare fino all’equivalente di 5500 euro l’una per un peso che non supera i venti chilogrammi) all’Yubari King, coltivate nella cittadina di Yubaru appunto, che possono costare fino a 20mila euro a esemplare. Le piante di Yubaru sono innestate in modo da sfruttare le radici già sviluppate, i fiori vengono impollinati da api allevate ad hoc, i frutti tenuti sollevati da terra e sottoposti a frequenti docce. Un trattamento da cui scaturisce l’anguria più costosa del mondo, venduta all’asta e di solito offerta come regalo a persone importanti.
Le angurie quadrate
Il Giappone è anche la terra delle angurie a cubo o a parallelepipedo, le cosiddette “angurie quadrate”, invenzione che andrebbe riconosciuta all’italiano Franco Feroldi, cremonese di Casalmaggiore, la cui richiesta fu bocciata dall’Ufficio brevetti per “mancanza di attività inventiva”.
Anguria buona, salutare, quasi…medicinale
Ecco le dieci virtù dell’anguria che non tutti conoscono:
- Possiede una concentrazione elevatissima di licopene, sostanza anti-ossidante che contrasta l’azione dei radicali liberi e aiuta il sistema immunitario.
- Il suo succo è indicato per chi svolge attività agonistica: aiuta ad alleviare la stanchezza dei muscoli e ad abbassare la frequenza cardiaca.
- Il suo succo sarebbe utile anche contro l’ipertensione: è fonte dell’amminoacido essenziale arginina, noto per le sue qualità anti-ipertensive.
- E’ composta al 93% di acqua e quindi è ottima come diuretico e per combattere la disidratazione.
- Ha un bassissimo contenuto calorico: un etto apporta circa 16 calorie.
- E’ indicata per quanti stanno a dieta: grazie all’acqua e alle fibre di cui è ricca, offre una sensazione di sazietà.
- E’ considerata una sorta di viagra naturale: merito della citrullina che svolge un’azione vaso-dilatatoria. Attenzione: la citrullina è contenuta in larga parte nella fascia bianca, che si tende a scartare, benché sia perfettamente commestibile e abbia lo stesso sapore del cetriolo.
- Anche i suoi semi, essiccati e arrostiti, hanno un effetto vaso-dilatatorio.
- E’ ricca di potassio e, di conseguenza, è consigliata per quanti soffrono di ritenzione idrica, eccitabilità neuromuscolare, problemi legati al ritmo cardiaco.
- Può conciliare il sonno, perché stimolerebbe la produzione di serotonina, potente anti-depressivo.
I numeri dell’anguria
Il caldo di fine luglio/inizio agosto ha rilanciato i consumi di frutta. E l’anguria ne ha tratto un grande beneficio. La stagione estiva non si era aperta molto bene. Soprattutto a causa dell’arrivo di anguria dalla Grecia in enorme quantità e a prezzi stracciati.
In attesa di poter trarre conclusioni meno affrettate, è opportuno rifarsi a dati più solidi: il consuntivo 2017.
L’Italia è un buon produttore sul mercato mondiale, anche se lontanissima dai vertici. Secondo i dati della Fao, il nostro Paese è al 16esimo posto nel mondo. Sulla qualità il discorso è ben diverso: dal 2016 l’Anguria Reggiana ha ottenuto dall’Unione europea l’Indicazione geografica protetta.
L’Istat, comunque, rileva che la produzione nazionale l’anno scorso è cresciuta fino a 570.762 tonnellate segnando un incremento di circa 35mila tonnellate rispetto al 2016. Gli ettari dedicati ammontano a 12.840. Per i quattro quinti la produzione è a pieno campo e per il rimanente 20% al coperto.
Il raccolto si concentra in Lazio (139mila tonnellate), Campania (103mila tonnellate), Puglia (86mila tonnellate), Lombardia (65mila tonnellate) e Sicilia (46mila tonnellate). All’incremento della produzione l’anno scorso ha corrisposto una diminuzione delle esportazioni, ammontate comunque a una quantità ragguardevole: oltre 214mila tonnellate. Ma in calo – del 7% – rispetto al 2016, anno record, va però sottolineato, per le vendite di angurie fuori dai confini nazionali.
Interessante è un confronto a più lungo termine: l’export di angurie italiane nel 2017 è stato (in quantità) oltre due volte e mezza quello del 2005. L’anno scorso, viceversa, sono cresciute le importazioni, salite a poco meno di 45mila tonnellate, al di sotto però delle oltre 50mila tonnellate registrate nel 2005.