Due anni fa il terremoto ad Amatrice: secondo un’elaborazione dell’INGV dal 24 agosto 2016 ad oggi oltre 93mila scosse di terremoto nell’Italia Centrale
A due anni dal terremoto del 24 agosto 2016, che ha colpito Amatrice (RI), Accumoli (RI), Arquata del Tronto (AP) ed altri comuni limitrofi, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia fa il punto sulla complessa sequenza sismica che ha interessato e sta ancora interessando il Centro Italia e sulle numerose ricerche in corso dei ricercatori e tecnologi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).
Tecnicamente la sequenza non può considerarsi conclusa, anche se certamente il numero e la magnitudo degli eventi è diminuito notevolmente negli ultimi mesi. Attualmente, rileviamo ancora una media di 30 eventi al giorno, la maggior parte dei quali di magnitudo minore di 2.0.
Come si ricorderà, e come ben visibile dalla mappa (sopra) e dal grafico del numero degli eventi nel tempo (sotto), l’evoluzione della sequenza ha visto tre scosse principali: la prima, di magnitudo Mw 6.0, il 24 agosto 2016 con epicentro vicino ad Amatrice (RI); la seconda, di magnitudo Mw 5.9, il 26 Ottobre 2016 in prossimità di Visso (MC), la terza, di magnitudo Mw 6.5, il 30 Ottobre con epicentro nei pressi di Norcia (PG). Successivamente, ci sono state due importanti riprese della sismicità il 18 gennaio 2017 nella zona sud di Campotosto (AQ) e il 10 aprile 2018 nella zona di Muccia e Pieve Torina (MC).
La figura sotto mostra gli epicentri dei circa 93.000 terremoti localizzati dalla Rete Sismica Nazionale dell’INGV in questi due anni. 67 eventi hanno avuto magnitudo compresa tra 4.0 e 4.9 e 9 hanno avuto magnitudo uguale o superiore a 5.0.
Mappa epicentrale dei circa 93.000 terremoti localizzati dal 24 agosto 2016. La dimensione e il colore dei simboli sono in funzione delle magnitudo, secondo la legenda in alto a destra. (Margheriti et al., 2018).
L’area interessata copre un ampio settore dell’Appennino centrale che si estende per circa 80 km da Camerino a L’Aquila, con una estensione laterale variabile tra i 10 e 20 km circa.
Se guardiamo la distribuzione dei terremoti in profondità in una sezione verticale che va da Camerino (a sinistra nella figura sotto) fino a L’Aquila (a destra), notiamo che è tutt’altro che omogenea, con ampie zone con pochi eventi e altre adiacenti con una densità di terremoti molto elevata. Questa distribuzione così irregolare è dovuta sia alla distribuzione del rilascio di momento sismico negli eventi principali, sia alle caratteristiche geologiche della struttura profonda.
Le stelle rappresentano gli ipocentri dei terremoti più forti, e comprendono quello del 24 agosto (intorno a 0 km sull’asse orizzontale, sotto Accumoli), e quello del 30 ottobre (tra -10 e -20 km). A destra in figura (sud) le stelle gialle sono gli ipocentri dei terremoti della zona di Campotosto, avvenuti a gennaio 2017, mentre a sinistra (nord) si notano i terremoti del 2018 della zona di Muccia.
Localizzazione degli ipocentri lungo una sezione verticale orientata NNO-SSE, parallela alla catena appenninica e alla direzione delle faglie principali.
Se guardiamo la struttura tagliandola in senso perpendicolare, trasversale alle strutture appenniniche, vediamo che non si tratta di un’unica faglia ma di un sistema di faglie. Nel caso mostrato in figura, si tratta del settore a nord, quello attivatosi principalmente nell’aprile 2018.
In questi due anni sono stati pubblicati numerosi modelli del sistema di faglie che ha dato luogo alla sequenza, realizzati utilizzando i dati geodetici (GPS e dell’interferometria SAR), quelli sismici e accelerometrici. Tutti i modelli mostrano una elevata complessità della struttura, con numerose faglie che si sono attivate in momenti successivi. Sulla caratterizzazione delle faglie principali c’è un sostanziale buon accordo tra i modelli, grazie anche alla grande quantità di dati acquisiti, disponibile per la prima volta in Italia. Tale ricchezza di informazioni sta permettendo nuovi studi che mettono in luce complessità mai registrate prima in Italia. Su questi punti la discussione scientifica è ancora aperta sia tra i ricercatori italiani che a livello internazionale.
Uno dei punti di maggiore novità, che potrà avere un impatto sulle stime di pericolosità della regione, è la definizione dei tempi di ritorno dei terremoti sulle faglie investigate. Per studiare questo aspetto, tra giugno e luglio del 2017, sono state aperte tre trincee paleosismologiche lungo le rotture prodotte in occasione dell’evento del 30 ottobre 2016, tutte nelle vicinanze della Piana di Castelluccio.
Tutte le trincee hanno permesso di riconoscere numerosi terremoti del passato, sconosciuti ai cataloghi storici, che hanno prodotto scarpate di faglia in superficie come nel 2016. Oltre al terremoto del 2016, sono state riconosciute le evidenze geologiche di 6 paleoterremoti di magnitudo simile o superiore al 2016, negli ultimi 18000 anni.
Numerosi altri studi sono in corso per caratterizzare le faglie presenti nella regione e chiarire i meccanismi con cui queste interagiscono, per migliorare le conoscenze della pericolosità dell’area, per quantificare i tassi di deformazione post- e inter-sismica, per definire la struttura crostale tridimensionale allo scopo di ottenere delle localizzazioni ipocentrali ancora più accurate, per studiare la risposta sismica locale e definire la microzonazione sismica delle aree colpite dal terremoto e di quelle dove si dovrà riedificare, e così via.