Paolo Ascierto, Presidente Fondazione Melanoma: “Grazie a quest’arma, oggi il 50% delle persone colpite da tumori della pelle in fase metastatica è vivo a 10 anni dalla diagnosi”
“L’immunoterapia è un vero e proprio tsunami nella lotta contro il cancro e il Premio Nobel assegnato a James Allison e a Tasuku Honjo per i loro studi su questa arma fotografa la portata di questa rivoluzione. L’Italia ha contribuito in maniera decisiva alle ricerche che hanno permesso di rendere disponibili le terapie immunoterapiche ai pazienti colpiti da tumori in fase molto avanzata. Basta pensare che all’Istituto ‘Pascale’ di Napoli, dal 2006 a oggi, abbiamo trattato con queste armi circa 2000 pazienti”.
Il prof. Paolo Ascierto, Presidente della Fondazione Melanoma e Direttore Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto “Pascale” di Napoli, sottolinea il ruolo dell’Italia nelle sperimentazioni sull’immunoterapia, iniziate 12 anni fa.
“Questi trattamenti – spiega il prof. Ascierto – stimolano il sistema immunitario ad attivare i linfociti T, potenti globuli bianchi che a loro volta identificano e distruggono le cellule tumorali per prevenire la diffusione della malattia. Il melanoma ha rappresentato il modello ideale per verificare l’efficacia della immunoterapia. Innanzitutto perché si tratta di un tipo di neoplasia relativamente facile da analizzare, grazie a una biopsia cutanea. Abbiamo potuto studiarne a fondo le caratteristiche immunologiche e, proprio nel melanoma, sono stati individuati per la prima volta gli antigeni, cioè i bersagli della risposta immunologica presenti sulle cellule tumorali. Inoltre, fino a pochi anni fa, non esistevano terapie realmente efficaci nel melanoma metastatico”.
“La prima molecola immunoterapica approvata, ipilimumab, ha dimostrato risultati importanti: il 20% delle persone colpite dalla malattia in fase metastatica è vivo a 10 anni dalla diagnosi. Ulteriori passi in avanti oggi sono stati compiuti grazie ad altre due molecole anti-PD-1, nivolumab e pembrolizumab. Inoltre, con la combinazione di nivolumab e ipilimumab la metà dei pazienti potrebbe risultare viva a 10 anni. E gli studi dei due ricercatori a cui è stato assegnato il Premio Nobel hanno costituito le basi su cui si fonda il funzionamento di queste terapie”.