Dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro l’analisi dell’occupazione e degli investimenti per lo sviluppo tecnologico in Italia e in Europa. Siamo terzi in Ue per fondi strutturali (FESR) per l’innovazione tecnologica e quartultimi per capacità di spesa
Nonostante le grandi ambizioni del piano nazionale “Agenda Digitale”, finalizzato a rendere più competitive le aziende italiane e le infrastrutture tecnologiche, l’attuazione del programma stenta a decollare. L’Italia si colloca sul fondo della classifica dei Paesi virtuosi dell’Unione europea per la capacità di spesa dei fondi in ICT e Ricerca e Innovazione. In totale i fondi disponibili a valere sul Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR 2014-2020) per favorire l’innovazione nel nostro Paese sono 8,3 miliardi di euro: 6 miliardi per la ricerca e l’innovazione e 2,3 miliardi per lo sviluppo dell’ICT.
Si tratta di un valore molto alto di risorse disponibili, il terzo dopo Polonia e Spagna. Ma, dopo quasi cinque anni dall’avvio dell’ “Agenda Digitale italiana”, se si osserva la quota di investimenti rendicontati e impiegati dal nostro Paese si nota che sono stati spesi solo 828 milioni (pari al 12,3% del totale), collocando l’Italia al quartultimo posto in classifica. È quanto emerge dall’analisi condotta dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro. Il report si focalizza su alcuni aspetti collegati all’innovazione tecnologica, analizzando in particolare gli open data della Commissione europea, aggiornati a settembre 2018, in merito alla rendicontazione delle risorse previste dai fondi europei.
Osservando le voci di spesa relative a ricerca e innovazione e allo sviluppo ICT a livello regionale, Puglia, Campania e Sicilia sono le regioni che hanno programmato investimenti più ingenti (ciascuna superiore ai 600 milioni) ma, mentre la Puglia ha già rendicontato il 12% delle spese effettuate (in linea con la media nazionale), la Sicilia a settembre 2018 non ha rendicontato alcuna spesa e la Campania solo 5 milioni di euro (pari all’1%) della programmazione approvata.
La capacità di spesa è invece a uno stadio avanzato per le regioni Liguria (45%), Emilia Romagna (41%), Toscana e Valle d’Aosta (38%), seguite dalla Sardegna (34%). In coda alla classifica troviamo, oltre che Campania e Sicilia, anche l’Abruzzo (3%), il Lazio (4%), il Veneto (6%) e il Piemonte (8%), tutte in forte ritardo rispetto alla rendicontazione delle spese. La scarsa capacità di spesa delle ingenti risorse europee mostra i suoi effetti anche sull’occupazione nei settori ad alta innovazione tecnologica.
Dal report emerge come in Italia in questi ambiti sono occupate 775 mila persone e la crescita, dal 2008 ad oggi, è stata di sole 11 mila unità (+1,5%). Per fare un confronto è sufficiente pensare che nell’area Euro sono 5,7 milioni le persone occupate in tali settori, con una crescita di 362 mila unità dal 2008 (+6,7%). Nel nostro Paese la quota di occupati nella produzione di beni altamente tecnologici è dello 0,9% (la media europea è pari all’1,1%). Rispetto ai servizi ad alta tecnologia ed alta intensità di conoscenza nell’occupazione l’Italia si attesta al 2,5%: un livello inferiore di 0,4 punti percentuali rispetto alla media dell’Eurozona. Nel 2017, inoltre, il 39,8% degli occupati in settori ad alta intensità tecnologica ha conseguito la laurea (rispetto ad una media nazionale di occupati laureati pari al 22%).
Tuttavia le donne sono solo il 31,4%, oltre 10 punti percentuali in meno della quota di donne occupate in tutti i settori (42%). La media italiana del 3,4% è trainata da Liguria (4%), Lombardia (4,7%) e Lazio (6,1%), mentre gran parte delle regioni ha una quota di occupati in settori ad alta intensità tecnologica al di sotto del 2,5%.