Indagine CGIA di Mestre: in frenata la contrazione dei presti bancari alle imprese. Nell’ultimo anno gli impieghi vivi sono scesi di 4,9 miliardi di euro ma l’Abi replica
E’ in frenata la contrazione dei presti bancari alle imprese. Nell’ultimo anno (novembre 2017 su novembre 2018) gli impieghi vivi (prestiti al netto delle sofferenze) sono scesi di 4,9 miliardi di euro (-0,7 per cento). Nulla a che vedere, comunque, con quanto è accaduto negli ultimi 7 anni. Dal novembre 2011 (anno di picco massimo delle erogazioni bancarie alle imprese) allo stesso mese del 2018, la diminuzione è stata del 27 per cento: in termini assoluti si conta una riduzione di impieghi vivi per 252,8 miliardi di euro.
Nell’ultimo anno, tuttavia, in alcune regioni, come la Lombardia e il Piemonte, i prestiti sono tornati con il segno positivo. E questo lascia presagire che il peggio, probabilmente, è alle nostre spalle. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato i dati della Banca d’Italia.
“E’ vero – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – che la domanda di credito da parte delle imprese è diminuita sia in termini di qualità che di quantità. Inoltre, non va nemmeno dimenticato che le sofferenze bancarie hanno assunto dimensioni preoccupanti, inducendo molte banche a chiudere i rubinetti del credito o a concedere i prestiti a condizioni più rigide. Tuttavia, la contrazione registrata in questi ultimi anni è stata eccessiva, soprattutto nei confronti delle piccole realtà produttive che, tradizionalmente più solvibili delle altre imprese, sono state, invece, le più penalizzate”.
Le imprese con meno di 20 addetti, infatti, costituiscono il 98 per cento circa delle imprese italiane e danno lavoro (al netto degli occupati nella Pubblica Amministrazione) a quasi il 60 per cento degli addetti presenti nel Paese. Nonostante queste dimensioni, i piccoli imprenditori continuano a ricevere dalle banche solo il 18 per cento circa degli impieghi vivi, contro l’82 per cento che, invece, finisce nelle casse delle realtà produttive più strutturate che rappresentano il 2 per cento circa dell’intera platea delle imprese presenti in Italia. Nonostante ciò, la stretta creditizia ha penalizzato maggiormente le prime che hanno visto ridursi il flusso di denaro proveniente dalle banche del 29,5 per cento negli ultimi 7 anni (- 51,2 miliardi) e del 2,2 per cento nell’ultimo anno (-2,7 miliardi). Le seconde, invece, hanno subito una riduzione dei prestiti più “morbida”, pari al 26,5 per cento (-201,5 miliardi) nel settennio e dello 0,4 per cento (-2,3 miliardi) negli ultimi 12 mesi.
E’ possibile delineare alcune soluzioni che consentano di superare questa situazione?
“In primo luogo – dichiara il segretario della CGIA Renato Mason – bisognerà perseguire uno sviluppo economico meno bancocentrico, anche attraverso l’attuazione di politiche pubbliche di sostegno alle imprese, abbassando i costi energetici, favorendo gli investimenti infrastrutturali, riducendo le tasse, tagliando il cuneo fiscale e incentivando l’internazionalizzazione della nostra economia. In secondo luogo, tuttavia, sarà necessario rassicurare gli istituti di credito dal raggiungimento di requisiti patrimoniali eccessivi che sono stati imposti dalle regole europee. In modo tale da rimettere in moto il flusso di denaro verso le imprese, soprattutto di piccola dimensione. Inoltre, le banche dovranno ritornare a gestire i propri bilanci con rigore e sobrietà, recuperando la fiducia dei risparmiatori che in questi ultimi anni – a seguito, in particolar modo, dei casi Etruria, Veneto Banca e Popolare di Vicenza – si è notevolmente affievolita”.
Le regioni più penalizzate dal credit crunch sono state quelle del Centro-Sud. Negli ultimi 7 anni il Molise ha registrato la contrazione più importante: -38,3 per cento (pari a – 735 milioni di euro). Seguono le Marche con il -36,8 per cento (- 9,4 miliardi), il Lazio con il -35,8 per cento (-39 miliardi) e con la stessa percentuale anche la Calabria (con una riduzione in termini assoluti pari a 2,8 miliardi di euro).
Nell’ultimo anno, invece, la stretta più importante si è verificata in Umbria (-3,7 per cento pari a -350 milioni), in Sicilia (-3,3 per cento che ha contribuito a ridurre gli impieghi di 611 milioni) e in Toscana (-3,1 per cento pari a -1,5 miliardi di euro). Viceversa, Trentino Alto Adige (+ 7 milioni), Basilicata (+57 milioni), Friuli Venezia Giulia (+90 milioni), Lombardia (+156 milioni), Valle d’Aosta (+174 milioni) e Piemonte (+1 miliardo) hanno registrato un aumento degli impieghi vivi rispetto al mese di novembre 2017.
La replica dell’Associazione bancaria italiana
“I dati resi noti oggi dalla Cgia di Mestre sull’andamento degli impieghi alle imprese non rappresentano correttamente il fenomeno del supporto dato dalle banche alle imprese.”
Lo dichiara il Vicedirettore generale dell’Abi, Gianfranco Torriero, sottolineando che, “in particolare, la Cgia di Mestre considera solo i cosiddetti impieghi vivi, cioè non tiene conto dei prestiti ricevuti dalle imprese e successivamente non rimborsati, cioè non tiene conto delle sofferenze, che sono comunque prestiti erogati alle imprese”.
“Tale osservazione – prosegue Torriero – assume ancora più rilevanza se i confronti vengono effettuati, come fa la Cgia di Mestre, prendendo a riferimento non solo l’andamento dell’ultimo anno ma anche il confronto rispetto al 2011, proprio l’anno in cui i prestiti hanno iniziato a trasformarsi in misura significativa in sofferenze. Pertanto non tenere conto delle sofferenze e delle sofferenze cedute o cartolarizzate inficia qualsiasi confronto intertemporale”.
“Secondo i dati ufficiali di Banca d’Italia – conclude – a novembre 2018, i prestiti alle imprese sono aumentati su base annua dell’1,1% e non diminuiti come invece indicato dalla Cgia di Mestre”.
Replica ancora la CGIA
In merito alla nostra nota inviata sabato scorso, ribadiamo la correttezza dei risultati riportati.
Come abbiamo evidenziato nella nota a piè di pagina n° 1 (vedi Allegato), abbiamo analizzato gli impieghi bancari vivi, sottolineando che questi prestiti sono al netto di sofferenze e di eventuali cartolarizzazioni.
A differenza di quanto sostiene l’Abi nella replica alla nostra analisi, se avessimo incluso anche le sofferenze, la comparazione a livello regionale e provinciale tra novembre 2018 e novembre 2017 avrebbe dato luogo a una contrazione ancor più evidente di quanto riportato nella nostra nota, in quanto non sono disponibili dati assoluti per territorio dei prestiti al netto delle cartolarizzazioni e delle cessioni.
Segnaliamo, inoltre, che a livello territoriale non sono attualmente disponibili dati assoluti dei prestiti al netto delle cartolarizzazioni/cessioni e quindi l’analisi degli impieghi vivi è quella che dimensiona più correttamente il fenomeno.
Ci permettiamo, infine, di segnalare che chi rappresenta gli istituti di credito ha il diritto di difendere le posizioni dei propri associati, ma anche il dovere, prima di farlo, di leggere attentamente quelle degli altri e di avere una conoscenza almeno sufficiente dei dati statistici ufficiali.