Chiude l’anno venatorio in Calabria in barba alle normative


L’avv. Antonio Lidonnici, esperto in legislazione venatoria

Chiude l’anno venatorio in Calabria in barba alle normative: la parola agli esperti del mondo venatorio, ma si fanno anche i conti e si punta il dito sulle normative mal recepite dalla Regione

Appena finito l’anno venatorio e, in Calabria, si fanno i conti del trascorso sportivo sempre meno costante se si pensa che da 1.500.000 degli anni ottanta si è arrivati ai giorni nostri a 700.000 cacciatori. Una regione che non si adegua alle normative comunitarie non è competitiva e resta fuori da quel business che alzerebbe quel PIL tanto agognato. A fare il Punto della situazione l’avvocato Antonio Lidonnici, esperto in legislazione venatoria. Puntando il dito sui problemi che frenano il buon andamento dell’attività nella Regione come gli ungulati selvatici, soprattutto i cinghiali. “Il problema degli ungulati, l’ostruzionismo degli ambientalisti, degli animalisti, la poca chiarezza delle norme venatorie, l’incompetenza delle ATC, sono solo la punta dell’iceberg. Se poi, a tutto questo, aggiungiamo che la caccia in Calabria è fatta da tantissime realtà, usi venatori, mentalità particolari, situazioni faunistiche diverse tra loro, allora la situazione si complica notevolmente”. Secondo L’esperto giurista “per affrontare seriamente il tema dell’attività venatoria in Calabria, dei suoi problemi, della scarsa accettazione e soprattutto del suo futuro, occorrerebbe un’analisi davvero approfondita con studi e progetti concreti. Bisognerebbe innanzitutto cambiare l’immagine stessa della caccia, perché l’idea che la gente comune ne ha è in genere negativa, anche se, a pensarci bene, gli ingredienti per una caccia “accettabile” ci sarebbero tutti. La Calabria, infatti, gode di una varietà di ambienti naturali, anche abbastanza conservati, difficile da eguagliare. Per non parlare della fauna selvatica, che dal punto di vista naturalistico, venatorio ed economico rappresenta una grande risorsa, patrimonio di tutti, cacciatori, agricoltori, ambientalisti, e in quanto tale andrebbe gestita con intelligenza e responsabilità. Allora perché la caccia è malvista? Di chi è la colpa? Dei politici? Degli animalisti? Dell’opinione pubblica? O è anche colpa dei cacciatori? Che negli ultimi anni non hanno saputo confrontarsi positivamente con il resto della società.

A mio avviso, (continua l’avvocato Lidonnici) la strada è una sola. Occorre una crescita qualitativa del mondo venatorio. Occorre unire tutti i veri cacciatori in una sola associazione, come è in tanti altri paesi e in due realtà italiane (Bolzano e Trento), che li rappresenti tutti, di destra, sinistra o centro che siano, per sostenere più efficacemente le loro istanze ed eliminare le numerose associazioni concorrenti, gestite da personaggi etichettabili politicamente che hanno approfittato e costruito intere carriere politiche sull’ingenuità dei cacciatori. Occorre dialogo e collaborazione fra ambientalisti e cacciatori, così da superare i reciproci pregiudizi, lavorando insieme e condividendo lo stesso obiettivo: quello di dar vita ad una sola identità venatoria capace di unire, identificare e rappresentare tutti i cacciatori calabresi”.

Ma le statistiche parlano anche di migrazione del turismo venatorio laddove le normative flessibili consentono di portare a casa soddisfazioni.