Martedì 26, mercoledì 27 e giovedì 28 marzo, ore 20:45, Maurizio Scaparro torna al Teatro della Pergola con il suo Aspettando Godot di profonda drammaticità e sorprendente ironia
Protagonisti del capolavoro di Samuel Beckett sono Antonio Salines, Luciano Virgilio, Edoardo Siravo, Fabrizio Bordignon, a rappresentare l’inquietudine dolorosa dell’attesa di Vladimiro, Estragone, e l’ansia disperata di Pozzo e Lucky, “creature deboli e immortali che, in una terra desolata aspettando Godot che non arriverà mai, vivono in un lontano e vicino ‘900 nel ricordo romantico di una Tour Eiffel che resiste come immagine e nell’aridità di un presente che esclude loro e quelli che vorrebbero cantare, ballare, parlare, vivere”, dice Maurizio Scaparro presentando lo spettacolo che segna anche, in 50 anni di spettacoli da lui firmati, il suo primo incontro con il teatro di Beckett.
Con Gabriele Cicirello. Scene di Francesco Bottai, costumi di Lorenzo Cutùli, luci di Salvo Manganaro. Una produzione Teatro Biondo Palermo, Fondazione Teatro della Toscana.
Un ‘classico’ del teatro contemporaneo torna in scena al Teatro della Pergola martedì 26, mercoledì 27 e giovedì 28 marzo, ore 20:45. Maurizio Scaparro firma la regia di Aspettando Godot di Samuel Beckett, testo cardine del ’900: scritto tra la fine del 1948 e l’inizio del 1949, andato in scena per la prima volta a Parigi, al Théâtre de Babylone, il 5 gennaio del 1953, è uno dei lavori più amati, rappresentati ed enigmatici, tra quelli firmati dal Premio Nobel irlandese.
Protagonisti di questo allestimento, prodotto da Teatro Biondo Palermo, Fondazione Teatro della Toscana, sono Antonio Salines, Luciano Virgilio, Edoardo Siravo, Fabrizio Bordignon. Con Gabriele Cicirello.
“Sento la responsabilità, il peso e l’emozione – afferma Maurizio Scaparro – di mettere in scena per la prima volta un testo di Samuel Beckett e in particolare Aspettando Godot. Questo testo mi colpisce anzitutto per le sue radici collegate alla millenaria e senza confini cultura europea, che noi stiamo colpevolmente dimenticando. Beckett è certamente tra i primi nel Novecento a intuire che, nel mondo attuale, lo spazio per la tragedia si è fatto minimo, entra di nascosto, quasi sotto il velo del gioco, usa toni leggeri e punta talvolta anche al riso”.
Aspettando Godot, nelle parole di Jean Anouilh “un capolavoro che provocherà disperazione negli uomini in generale e in quelli di teatro in particolare”, fu considerato da molti una provocazione, un trucco, prima di essere universalmente accettato come opera d’eccezione. Vladimiro (Luciano Virgilio) ed Estragone (Antonio Salines) sono i due vagabondi in perenne attesa dell’arrivo di Godot, un personaggio simbolico che non compare mai durante la commedia.
Compaiono, invece, altri due personaggi Pozzo (Edoardo Siravo) e Lucky (Fabrizio Bordignon): il primo trascina l’altro legato a una corda come uno schiavo. Godot ha un’assonanza con God (Dio in inglese) e c’è chi vi ha visto la Morte, chi la Speranza, chi la Rivelazione: l’opera è dunque incentrata su questa figura da cui dipendono i destini di tutti, a cominciare da Vladimiro ed Estragone.
Le scene sono di Francesco Bottai, i costumi di Lorenzo Cutùli, le luci di Salvo Manganaro, per una lettura che si discosta da quella ‘semplicemente’ tragica.
“Mi piace ricordare che per più di cinquanta anni Beckett – continua il regista – aveva vissuto nel quartiere operaio di Montparnasse (e dal ’40 al ’45 ha avuto un ruolo attivo nella resistenza francese). I suoi compagni d’avventura in quel periodo erano stati, tra gli altri, anzitutto James Joyce (l’ironia del linguaggio di Beckett nasce anche da questo incontro), Giacometti e Buster Keaton. Nicola Chiaromonte notava che il fascino dei due atti di Beckett sta nella precisione con cui sono unite due situazioni ugualmente familiari per l’Homo Europeus: la difficoltà di credere nella sensatezza dei gesti quotidiani e la parallela difficoltà di credere nell’avvenire collettivo. Lo sconforto di Vladimiro ed Estragone è contagioso, ognuno se ne difenda come può, ma non si dimentichi che comunque è un gioco, anche nel senso teatrale di jouer”.
Chi è Godot? Questo è il punto. È qualcosa che ci aspettiamo e non sappiamo definire, che vorremmo, ma che non siamo capaci di desiderare, perché non abbiamo desideri? Certamente è un’entità astratta, così come lo sono i due poveri vagabondi: speculazioni poetiche, lunari, ma per questo intriganti e attraenti. Tra Vladimiro ed Estragone, però, risalta una differenza: Vladimiro è una vittima, è succube, mentre Estragone è quello che comanda, che decide.
Comunque, sono una coppia indissolubile, non possono fare a meno l’uno dell’altro, non si possono separare. E quando si conclude la messinscena, non resta certo allo spettatore un attimo di certezza sul fatto che Godot possa arrivare e che l’attesa dei protagonisti non sia stata vana. Una condanna senza soluzione: l’attesa non finisce mai.
“I due vagabondi protagonisti di Aspettando Godot – conclude Maurizio Scaparro – sono l’emblema della condizione dell’uomo del Novecento, essere in eterna attesa, vagante verso la morte, punto minuscolo nella vastità di un cosmo ostile, segnato fin dalla nascita (“partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, ed è subito notte”, dice Pozzo). Mi conforta avere in palcoscenico attori che stimo profondamente, ma vorrei anche poter idealmente dedicare questa nostra fatica all’Europa della Cultura, la grande dimenticata dell’Europa che viviamo; e a quelle parole che Beckett sussurra quasi per caso come teatro, varietà, circo”.