Tumore della mammella: in Veneto è il più frequente


Si apre oggi a Ospedaletto di Pescantina il convegno sulle novità nel trattamento del tumore della mammella: grazie ai test genomici si potrebbe evitare in alcune pazienti l’utilizzo della chemioterapia

tumore del seno biopsia liquida

Il tumore più frequente in Veneto è diventato quello della mammella: nel 2018 sono stati stimati 4.750 nuovi casi (erano 4.450 nel 2017). Seguono il cancro del colon-retto (4.300, erano 4.500 nel 2017), che nel 2017 era il più diagnosticato, e del polmone (3.250, erano 3.400 nel 2017). E, nella Regione, le percentuali di sopravvivenza delle donne colpite da carcinoma della mammella sono fra le più alte in Italia: l’88% infatti è vivo a 5 anni dalla diagnosi. Terapie sempre più efficaci ed elevata adesione ai programmi di screening mammografico hanno contribuito a raggiungere questo importante risultato. Per fare il punto sui trattamenti innovativi e sulle sfide da affrontare per sconfiggere la malattia, si apre oggi a Ospedaletto di Pescantina (Verona) il convegno “Carcinoma mammario: quali novità per il 2019?” nell’ambito del “Progetto CANOA”.

“L’incremento delle diagnosi di carcinoma della mammella non va letto in termini negativi – spiega Stefania Gori, Presidente Nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Direttore Oncologia Medica, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar -. In 10 anni (2008-2018), in Veneto, si è registrato un aumento di circa il 9% dei casi. Il dato è dovuto non solo al progressivo invecchiamento della popolazione, ma anche all’implementazione dei programmi di screening mammografico, che consentono di individuare un grande numero di casi in fase iniziale, quando le possibilità di guarigione sono alte. Nel 2009, si è raggiunta l’attivazione dello screening in tutto il territorio. Il Veneto infatti fa registrare un tasso di adesione alla mammografia superiore alla media nazionale: nel 2016, il 64% delle cittadine ha eseguito il test (56% Italia), con un netto miglioramento della sopravvivenza a 5 anni”.

Oggi vi sono molte armi a disposizione, dalla chemioterapia all’ormonoterapia alle terapie mirate fino all’immunoterapia. E si stanno aprendo nuove prospettive per personalizzare i trattamenti, grazie a esami genomici che analizzano il DNA del tumore per capirne l’aggressività. Questi test possono supportare l’oncologo nella personalizzazione delle terapie nelle donne con carcinoma mammario in fase iniziale.

“La terapia adiuvante, cioè successiva all’intervento chirurgico, nella malattia ai primi stadi di tumori con recettori ormonali positivi e HER2 negativo, comprende o la sola ormonoterapia o l’ormonoterapia e la chemioterapia, in relazione al rischio di sviluppare recidive o metastasi – afferma la presidente Gori -. Studi scientifici hanno dimostrato che questi test consentono una forte diminuzione dell’utilizzo non utile della chemioterapia, risparmiando quindi in alcune pazienti i relativi effetti collaterali. Vengono effettuati su un campione di tumore prelevato durante l’intervento chirurgico, forniscono informazioni aggiuntive sull’aggressività della malattia e possono aiutare il medico a decidere in quali casi la chemioterapia sia indicata e quando possa invece essere evitata”. In Italia, i test genomici sono poco utilizzati rispetto ad altri Paesi europei, soprattutto perché non sono ancora inseriti nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). “In realtà – continua la presidente Gori – sono stati inclusi nelle raccomandazioni delle principali linee guida internazionali e dovrebbe esserne riconosciuta la rimborsabilità anche nel nostro Paese”.

“È molto importante che gli oncologi conoscano la metodologia degli studi clinici e siano ‘addestrati’ a utilizzare queste conoscenze sia nella lettura dei lavori scientifici pubblicati che nella concreta applicazione delle linee guida nella pratica clinica quotidiana – sottolinea la presidente Gori -. E questo convegno, giunto alla sua nona edizione, ha proprio l’obiettivo di trasmettere questi strumenti. In alcuni tipi di tumore della mammella (il 15-20% del totale) una proteina, HER2, è presente in quantità eccessiva, causando così una crescita rapida e incontrollata delle cellule malate. Dal punto di vista biologico, è una delle forme più aggressive e, in passato, non essendoci armi disponibili, queste pazienti presentavano la prognosi peggiore. Oggi invece, grazie a terapie mirate che bloccano il recettore HER2 e che sono utilizzate sia nelle forme iniziali non metastatiche che in quelle metastatiche, è cambiato radicalmente il decorso clinico. Inoltre, sono state recentemente sperimentate e introdotte nella pratica clinica terapie mirate con inibitori di CDK4/6, una nuova classe di farmaci in grado di inibire le chinasi ciclina-dipendenti coinvolte nella replicazione delle cellule tumorali. La combinazione di queste molecole con la terapia ormonale rappresenta una nuova opzione di trattamento per le pazienti con carcinoma mammario avanzato e recettori ormonali positivi ed HER2-negativo”.

Oggi, nella prima e nella seconda sessione del convegno, i relatori affronteranno inoltre la problematica legata all’introduzione dei farmaci biosimilari, in particolare del trastuzumab biosimilare nel carcinoma mammario HER2-positivo. “I biosimilari rappresentano un’opportunità di risparmio per il sistema sanitario – conclude la Presidente Gori -. Va però mantenuto ben saldo un principio: la scelta del trattamento con il farmaco biologico di riferimento o con il biosimilare resta una decisione affidata esclusivamente al medico prescrittore”.