Credito: le banche continuano a finanziare grandi imprese insolventi


La denuncia della CGIA di Mestre: sebbene insolventi, le banche continuano a finanziare quasi esclusivamente le grandi imprese. Agli artigiani restano le briciole

La denuncia della CGIA di Mestre: sebbene insolventi, le banche continuano a finanziare quasi esclusivamente le grandi imprese. Agli artigiani restano le briciole

Malgrado una decina di istituti di credito sia stata costretta alla chiusura e un altro paio abbia evitato la stessa fine  grazie all’intervento pubblico, in linea generale le banche continuano ancora adesso a premiare chi affidabile non è, penalizzando tutti gli altri.  Un’anomalia tutta italiana che negli ultimi anni ci ha costretto   –  anche a causa della mancata restituzione dei prestiti in massima parte ascrivibili a famiglie industriali, a gruppi societari e a grandi aziende –  un maxi salvataggio di oltre 60 miliardi di euro[1]: per oltre un terzo a carico dei contribuenti, il resto suddiviso tra azionisti, obbligazionisti e istituti bancari concorrenti. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.

Sebbene insolventi, i prestiti vanno ai grandi gruppi

La denuncia della CGIA è la seguente: la quota di finanziamento per cassa ottenuta dal primo 10 per cento degli affidati è stata pari, al 31 dicembre 2018, all’80,7 per cento del totale, mentre la quota di sofferenze in capo sempre a questo segmento di clientela è il 77,2 per cento del totale. Non si tratterà sempre degli stessi soggetti, tuttavia, la probabilità che molti di questi lo siano è molto elevata. Per contro, il restante 90 per cento dei clienti (artigiani, negozianti, famiglie, partite Iva, lavoratori autonomi, piccoli imprenditori, etc.), ottiene solo il 19,3 per cento dell’intero stock di finanziamenti per cassa erogati, sebbene l’incidenza delle sofferenze bancarie riconducibili a questi soggetti sia soltanto il 22,8 per cento.

“E’ palese a tutti – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – che questo primo 10 per cento di affidati non è certamente costituito  da piccoli imprenditori o da titolari di partite Iva, ma quasi esclusivamente da grandi gruppi o società industriali. In linea generale non ci sarebbe nulla da obbiettare se questi ultimi fossero solvibili. Dall’analisi della distribuzione del tasso di insolvenza, invece,  emerge che la stragrande maggioranza è concentrata nelle mani di questo ristrettissimo club di clienti migliori. Insomma, nei rapporti tra banche ed imprese tutto è clamorosamente rovesciato: chi riceve la quasi totalità dei prestiti presenta un livello di affidabilità bassissimo, mentre chi dimostra di essere un buon pagatore ottiene il denaro con il contagocce”.

Premiate le grandi imprese del Centro-Nord

Questa singolarità, tutta italiana, presenta delle differenze molto marcate tra il Centronord e il Mezzogiorno. “Le aree più avanzate del paese – afferma il Segretario Renato Mason – sono anche quelle dove si concentrano maggiormente le più importanti grandi imprese. In questi territori, infatti,  le sofferenze bancarie e le quote di  prestiti riconducibili al primo 10 per cento di affidati sono più evidenti. Viceversa, dove la presenza delle grandi famiglie industriali è più modesta, come al Sud, anche l’incidenza delle sofferenze e degli impieghi ascrivibili a questa tipologia di clientela è più contenuta. E’ inoltre interessante notare come tra le prime 15 province   che registrano la quota di insolvenza più elevata causata dai clienti top, troviamo  ben 6 realtà territoriali dell’Emilia Romagna”.

Dalla CGIA, inoltre, segnalano che la quota di finanziamento per cassa erogata al 31 dicembre 2018 era pari a 1.137 miliardi di euro [2]. Le sofferenze lorde, dopo le vette  raggiunte nel quadriennio 2014-2017, sono in calo e al 31 dicembre scorso si sono attestate a 98,4 miliardi di euro.

Anche analizzando il peso delle insolvenze bancarie per classe di grandezza, si evince  che l’incidenza sui medi-grandi prestiti (da 500 mila euro in su)[3] è pari al 64,2 per cento del totale. Un dato, questo del dicembre 2018, addirittura superiore a quello registrato nel 2011 (61,4 per cento), anno di picco massimo degli impieghi erogati dalle banche alle imprese.

Non solo: analizzando l’andamento registrato tra il dicembre 2011 e lo stesso mese del 2018,  le sofferenze bancarie sono diminuite percentualmente in tutte le classi inferiori (da 0 a 1 milione di euro), mentre sono aumentate nel range tra 1 e 25 milioni.

Milano è prima per soldi erogati ai clienti top

A livello provinciale, il primo 10 per cento di affidati maggiormente “premiato” dalle banche è quello di Milano che, al 31 dicembre 2018,  ha ricevuto il 94,5 per cento del totale dei finanziamenti erogati per cassa alle società non finanziarie, pur avendo in capo l’80,4 per cento delle sofferenze totali (9,2 miliardi di euro). Seguono Treviso (91,9 per cento e il 71,2 per cento di sofferenze pari a 1,6 miliardi), Roma (86,4 per cento e l’81,5 per cento delle insolvenze pari a 9,2 miliardi) e Reggio Emilia (84,4 per cento di prestiti con una quota di sofferenze dell’84,7 per cento che corrisponde a 1,3 miliardi di euro). Se, invece, analizziamo la graduatoria provinciale solo dell’incidenza delle sofferenze causate sempre dal primo 10 per cento di affidati, emerge che al primo posto c’è La Spezia (86,9 per cento), al secondo Reggio Emilia (84,7 per cento) e al terzo (Modena 82,5 per cento). A seguire Bolzano (82,3 per cento), Roma e Cagliari (entrambe all’81,5 per cento)

Per l’Ocse la redditività delle nostre banche rimane bassa

Secondo il “Rapporto Economico sull’Italia” presentato nei giorni scorsi dall’Ocse, la redditività delle nostre banche è in via di miglioramento. Tuttavia, rimane ancora bassa e questo sta inducendo molti istituti a diversificare i ricavi. Come ?  Riducendo i finanziamenti che con tassi di interesse attivi molto contenuti  e un livello di sofferenze ancora importante rende questo servizio meno conveniente di un tempo. Per queste ragioni molti istituti di credito stanno spostando il proprio business su attività meno rischiose. Vale a dire sulle prestazioni accessorie e di natura finanziaria. Seppur in calo, non va nemmeno dimenticato che le sofferenze bancarie hanno ancora delle dimensioni economiche importanti. Alla luce di ciò, molte banche  sono state costrette ad aumentare gli accantonamenti e, conseguentemente, a ridurre le erogazioni di credito o a concedere i prestiti a condizioni più rigide. Una situazione che ha provocato dei riflessi negativi, soprattutto per le piccole imprese. Come riporta l’ultimo Bollettino Economico della Banca d’Italia, infatti, nel 2018 in tutti i settori economici i prestiti alle società non finanziare di minore dimensione si sono ulteriormente contratti (-3,2 per cento)[4].

Note

[1] Secondo la Commissione Europea, i costi delle crisi bancarie “scoppiate” in Italia a partire dal 2015 in capo agli azionisti, ai possessori di bond subordinati, al Fondo Interbancario e/o Atlante e allo Stato sono stati oltre 60 miliardi di euro circa. L’importo è comunque sottostimato perché non include le erogazioni mancate, il costo del personale in esubero e altri effetti collaterali. Gli istituti di credito coinvolti  sono stati:  Banca Marche, Nuova Banca Etruria, CARIFE, CariChieti,   Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare di Vicenza,  Veneto Banca, Cassa di Risparmio di Cesena, Banca CARIM, Cassa di Risparmio di San Miniato, etc.
[2] Somma che non include le sofferenze.

[3] Importi difficilmente ascrivibili  ad attività produttive-commerciali di micro o piccola dimensione. Ricordiamo che in Italia il 98 per cento delle imprese ha meno di 20 addetti.

[4] Banca d’Italia, Bollettino Economico n° 1, pag. 30,  gennaio 2019.