A Pasqua la carne di agnello viene servita quest’anno in oltre la metà delle tavole (51%) nelle case, nei ristoranti e negli agriturismi
L’alimento più rappresentativo della tradizione pasquale per la maggioranza degli italiani resta la carne di agnello che viene servita quest’anno in oltre la metà delle tavole (51%) nelle case, nei ristoranti e negli agriturismi. E’ quanto emerge da un’indagine Coldiretti/Ixe’ in occasione dell’iniziativa “Qualità e origine in tavola” organizzata con il Codacons alla vigilia della Pasqua con gli agrichef di Campagna Amica, i cuochi contadini, al lavoro per far conoscere i segreti delle ricette tramandate da generazioni nelle campagne.
L’88% degli Italiani vuole carne di agnello di origine nazionale con quasi 1/4 dei consumatori che ha scelto addirittura di acquistare direttamente dal pastore, una decisione motivata dalla necessità di garantirsi personalmente della provenienza in una situazione in cui la maggioranza dell’offerta viene dall’estero e soprattutto da Romania e Grecia che non assicurano gli stessi standard qualitativi. Per portare in tavola qualità al giusto prezzo il consiglio della Coldiretti è dunque quello di preferire carne di agnello a denominazione di origine, quella garantita da marchi di provenienza territoriale, o di rivolgersi direttamente ai pastori, quando è possibile.
Il tradizionale pranzo di Pasqua – sottolinea la Coldiretti – rappresenta anche un appuntamento determinante per la sopravvivenza della pastorizia poiché in occasione di questa festività si acquista gran parte di circa 1,5 chili di carne di agnello consumata a testa dagli italiani durante tutto l’anno.
A dieci anni dal terremoto de L’Aquila portare la carne di agnello a tavola significa aiutare la ripresa di aree duramente colpite dal sisma negli ultimi anni a partire dall’Abruzzo, ma anche l’Umbria, le Marche e il Lazio dove la pastorizia è fortemente radicata. Un sostegno anche per i pastori sardi impegnati in una difficile battaglia per la sopravvivenza per colpa di prezzi che non coprono i costi di produzione, come purtroppo accade in molte regioni.
Secondo un’analisi Coldiretti negli ultimi anni sono scomparse un milione di pecore dai 60mila allevamenti presenti in Italia dove sono rimasti 6,2 milioni di animali, situati in maggioranza in Sardegna. La pastorizia è un mestiere ricco di tradizione molto duro che costringe ogni giorno alla sveglia alle 5 del mattino per la prima mungitura che sarà ripetuta nel pomeriggio per ottenere da ogni pecora circa un litro di latte al giorno che viene sottopagato.
Un mestiere a rischio di estinzione per i prezzi spesso inferiori ai costi di produzione, gli attacchi degli animali selvatici, la concorrenza sleale dei prodotti stranieri spacciati per nazionali e il massiccio consumo di suolo che in Italia ha ridotto drasticamente gli spazi verdi e i tradizionali percorsi lungo i fiumi fino ai pascoli di altura storicamente usati per la transumanza delle greggi per la quale l’Italia ha chiesto il riconoscimento come patrimonio dell’Unesco.
E’ infatti un lavoro ad elevato valore ambientale poiché si tratta di un’attività che è concentrata nelle zone svantaggiate e che garantisce la salvaguardia di ben 38 razze a vantaggio della biodiversità del territorio, dalla rustica pecora sarda alla pecora Sopravissana dall’ottima lana, dalla pecora Lamon dalla testa grossa e priva di corna in entrambe i sessi alla Brogna con testa e gli arti privi di lana, dalla pecora Comisana con la caratteristica testa rossa a quella massese dall’insolito manto nero che rappresentano un patrimonio di biodiversità il cui futuro è minacciato da un concreto rischio di estinzione. Un patrimonio che gli agricoltori di Campagna Amica sono impegnati a difendere con “I sigilli”, prodotti e animali della biodiversità agricola italiana che nel corso dei decenni sono stati strappati all’estinzione o indissolubilmente legati a territori specifici.
“Gli animali custoditi negli allevamenti italiani rappresentano un tesoro unico al mondo che va tutelato e protetto anche perché a rischio non c’è solo la biodiversità delle preziose razze italiane, ma anche il presidio di un territorio dove la manutenzione è garantita proprio dall’attività di allevamento, con il lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali”, ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “quando un allevamento chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni”.