Un antimicotico come possibile terapia universale per la fibrosi cistica: ricercatori americani hanno eseguito promettenti test preclinici sul farmaco già in uso per il trattamento delle infezioni funginee
La fibrosi cistica (FC) è una malattia genetica rara autosomica recessiva, cronica e generalmente progressiva, che colpisce principalmente l’apparato respiratorio ma anche il fegato, il pancreas, l’intestino e il sistema riproduttivo. La patologia ha una prevalenza stimata di 1 caso ogni 2.500-2.700 persone, ed è dovuta ad un’alterazione della proteina CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator), che si occupa di regolare il flusso idroelettrolitico transmembrana. Una disfunzione a carico di questa proteina comporta problemi nel trasporto di ioni di bicarbonato di sodio e cloruro da parte delle cellule epiteliali delle pareti polmonari, ostacolando il normale processo di rimozione del muco e dei batteri intrappolati al suo interno. A lungo andare, l’accumulo di questo muco determina un’ostruzione delle vie aeree, causando lo sviluppo di infezioni e infiammazioni, fino alla distruzione del tessuto polmonare stesso.
Ad oggi, non esiste una terapia definitiva e universale per la fibrosi cistica, e questo è dovuto soprattutto al fatto che sono circa 2.000 le mutazioni conosciute a carico del gene CFTR, a cui corrispondono molteplici fenotipi di malattia. Attualmente, per il trattamento di tale patologia sono disponibili farmaci noti come correttori o potenziatori della proteina CFTR, farmaci come Kalydeco® (ivacaftor), Orkambi® (lumacaftor/ivacaftor) e Symkevi® (tezacaftor/ivacaftor), a cui si accompagnano altre terapie in via di sperimentazione. Sebbene le opzioni terapeutiche sul mercato non siano risolutive, sono comunque in grado di determinare significativi benefici nella funzionalità polmonare, permettendo, di conseguenza, un miglioramento dell’aspettativa e della qualità di vita dei pazienti.
Oggi, un nuovo potenziale trattamento per la fibrosi cistica potrebbe essere stato individuato da un team di ricercatori statunitensi provenienti dalle Università dell’Illinois e dell’Iowa, i quali, in uno studio recentemente pubblicato su Nature, hanno riportato i risultati ottenuti da test preclinici condotti su un noto agente antimicotico, l’amfotericina B, già approvato come medicinale indicato per il trattamento delle infezioni funginee. L’idea degli studiosi americani è stata quella di valutare l’uso di una molecola che, mimando la funzione della proteina CFTR, agirebbe come trasportatore di bicarbonato di sodio, ripristinando, a livello polmonare, i processi di difesa antibatterica che dipendono da una buona regolazione della concentrazione di questo sale.
“Invece di tentare con la terapia genica – che non si è ancora rivelata efficace nei polmoni – o di correggere la proteina CFTR, abbiamo provato un approccio differente”, spiega Martin D. Burke, coordinatore dello studio, Professore di Chimica all’Università dell’Illinois e Decano Associato per la Ricerca presso il Carle Illinois College of Medicine. In effetti, i ricercatori statunitensi hanno ipotizzato che una piccola molecola surrogata, l’amfotericina B, fosse in grado di svolgere la funzione di ‘canale ionico’ per il bicarbonato di sodioche di solito riveste la proteina CFTR, mancante o difettosa nei pazienti con fibrosi cistica: una strategia “che noi chiamiamo ‘protesi molecolare’”, ha specificato il prof. Burke.
Lo studio preclinico sull’amfotericina B ha prodotto risultati promettenti sia in modelli cellulari che animali. Innanzitutto, sono stati condotti test in vitro in cui è stata introdotta amfotericina B nella membrana apicale di un modello di cellule impiegato per gli studi sulla fibrosi cistica. In questo caso, rispetto alle cellule non trattate, si è registrato un significativo innalzamento della secrezione di bicarbonato di sodio, con un conseguente aumento non solo del pH del liquido della superficie delle vie aeree, ma anche del volume di tale liquido fino a valori normali. Gli autori dello studio hanno testato l’amfotericina B anche in campioni cellulari provenienti dal tessuto epiteliale delle vie respiratorie di persone con fibrosi cistica e con diverse mutazioni nel gene CFTR, registrando, di nuovo, un aumento del pH del liquido della superficie delle vie aeree, una diminuzione della sua viscosità e un innalzamento delle difese antibatteriche.
Successivamente, l’utilizzo di amfotericina B è stato testato anche in vivo, in un modello animale di fibrosi cistica. In questo caso è stata direttamente utilizzata una formulazione farmaceutica della molecola, che è stata somministrata ad alcuni maiali bioingegnerizzati per riprodurre i sintomi della malattia. Negli esemplari sottoposti al trattamento è stato notato, ancora una volta, un aumento del pH del liquido della superficie delle vie respiratorie.
“La perdita di funzione di CFTR rende il liquido delle superfici aeree maggiormente acido e, inoltre, altera la secrezione di sale. Questi difetti bloccano due importanti difese polmonari: l’attività antibiotica del liquido delle vie aeree e la capacità di eliminazione del muco. Come risultato, le persone con fibrosi cistica diventano vulnerabili alle infezioni”, chiarisce Michael J. Welsh, co-autore dello studio, Professore di Medicina Interna al Carver College of Medicine dell’Università dell’Iowa e ricercatore presso l’Howard Hughes Medical Institute.
Nonostante una piccola molecola come l’amfotericina B non possa replicare tutte le funzioni di una proteina complessa quale CFTR, i risultati ottenuti da questi test preclinici iniziali, sebbene assolutamente preliminari, sembrano aprire la strada ad un approccio terapeutico totalmente nuovo per la fibrosi cistica. “Così come un semplice dispositivo protesico può permette di recuperare una buona funzionalità a coloro a cui manca un arto, abbiamo notato che nonostante l’amfotericina B non sia una perfetta imitatrice della proteina CFTR, può comunque funzionare come canale per il bicarbonato di sodio e permettere di recuperare i meccanismi di difesa del liquido presente sulla superficie delle vie aeree”, aggiunge il Prof. Burke.
Nel prossimo futuro, l’intenzione del team di ricerca congiunto delle Università di Illinois e Iowa è di verificare se la somministrazione di amfotericina B sia efficace anche nei pazienti con fibrosi cistica. La speranza maggiore connessa al possibile uso di questo farmaco come trattamento per la patologia sta nella sua potenziale universalità d’impiego. Dato che il meccanismo di azione della molecola è mirato alla sostituzione di canali ionici, piuttosto che alle cause genetiche della FC, potrebbe essere utilizzato a prescindere da quale sia la mutazione genetica causante la malattia.
Inoltre, “dato che l’amfotericina B è già un farmaco approvato, la strada per la sua sperimentazione clinica è più diretta”, sottolinea il Prof. Burke. “È verificato che la molecola è sicura quando somministrata direttamente nei polmoni, senza diffusione al resto del corpo, così che si possano evitare i già noti effetti collaterali del farmaco. Speriamo di poter iniziare al più presto gli studi clinici sull’amfotericina B – conclude Burke – specialmente nei pazienti con fibrosi cistica che non possono trarre benefici dalla terapia con i correttori di CFTR”.