Domenica 26 maggio il concerto di Zubin Mehta al Maggio Fiorentino. Il maestro ha voluto accanto a sé Zakir Hussein, compositore indiano virtuoso del tabla, tamburo tradizionale indiano
Per il primo concerto dei suoi tre concerti nell’ambito dell’LXXXII Festival del Maggio Fiorentino, il maestro Zubin Mehta ha voluto accanto a sé Zakir Hussain, compositore indiano pluripremiato e virtuoso del tabla, tamburo tradizionale indiano di origini antichissime. Il concerto, in programma per domenica 26 maggio alle 20, vedrà il Maestro dirigere Hussein e l’Orchestra del Maggio in Peshkar, concerto per tabla e orchestra, composizione dello stesso Hussain e a seguire la Sinfonia n. 9 in do maggiore La Grande di Franz Schubert.
Zakir Hussain – Peshkar, concerto per tabla e orchestra
Utilizzato sia nella musica popolare e religiosa che nella world music, il tabla è caratterizzato da un cerchio di pasta nera al centro della membrana che conferisce allo strumento una particolare risonanza timbrica. Zakir Hussain, virtuoso di tabla nonché compositore apprezzatissimo per le sue musiche, utilizzate spesso anche in ambito cinematografico, ha voluto creare con questo concerto un connubio tra codici stilistici orientali e occidentali. La scrittura orchestrale ruota infatti attorno alle melodie indiane dei raga (strutture musicali che seguono regole ben precise collegate a determinate scale musicali), trattate tuttavia con grande libertà proprio perché unite a elementi armonici della tradizione classica occidentale.
Franz Schubert – Sinfonia n. 9 in do maggiore La Grande
Che Schubert desiderasse cimentarsi con un lavoro sinfonico di grandi dimensioni, alla Beethoven per intendersi, era cosa risaputa durante i suoi ultimi anni di vita. Dopo le sinfonie composte in gioventù, una sorta di apprendistato nel genere strumentale più alto, Schubert si sente pronto per una sinfonia in grande stile e nel 1828 firma la Sinfonia in do maggiore detta, appunto, La grande. Offerta alla Società degli amici della musica di Vienna, la nuova composizione sarebbe stata eseguita ufficialmente in quello stesso anno se la complessità e la lunghezza di alcuni passaggi non avessero spaventato l’orchestra, che, giudicandola troppo difficile, si rifiutò di eseguirla. La sinfonia venne così rimandata al mittente, che la ripose, come già accaduto per altri suoi preziosi gioielli musicali, in un cassetto. Solo anni dopo la morte di Schubert, Robert Schumann la scoprì per caso durante una visita al fratello del musicista scomparso e si prodigò per inviarla a
Mendelssohn a Lipsia, dove quel capolavoro fino ad allora sconosciuto riacquistò nuova vita nella prima esecuzione del 1839. La Sinfonia n. 9 in do maggiore deve il suo appellativo non solo all’ampliamento dell’organico, con tre tromboni aggiunti, ma anche al linguaggio, già teso verso soluzioni tardo romantiche. Pur attenendosi alle regole costruttive classiche, Schubert ne modifica gli equilibri interni smorzando la contrapposizione tematica classica in favore di una continua espansione dei materiali melodici impiegati, secondo una logica narrativa interna alla composizione dilatata e digressiva, la ‘divina lunghezza’ coniata da Schumann.