Il 28 maggio il maestro Riccardo Muti sul podio del Maggio Fiorentino per dirigere l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e il Coro della Radio Bavarese con una partitura del Settecento napoletano
A un anno dalla sua ultima acclamatissima presenza, torna martedì 28 maggio alle 20 sul podio del Maggio Fiorentino per l’82° edizione del Festival Musicale, il maestro Riccardo Muti per proporre una partitura del Settecento napoletano – a lui tanto caro – e che egli stesso ha sottratta all’oblio. A capo dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, da lui fondata, e il Coro della Radio Bavarese dirige la Missa defunctorum per soli, coro e orchestra di Giuseppe Paisiello (maestro del coro Stellario Fagone). Con il maestro Muti, i solisti Benedetta Torre e Giovanni Sala, entrambi formatisi alla Riccardo Muti Opera Academy, l’affermatissima Daniela Barcellona e il talentuoso Gianluca Buratto.
Operista tra i più noti e acclamati della seconda metà del Settecento ed esponente di spicco di quella scuola napoletana che sarà il punto di riferimento per i più valenti musicisti dell’epoca, Giovanni Paisiello primeggia con la sua musica nelle maggiori corti europee, da Napoli a Vienna, da Parigi a San Pietroburgo. Dopo aver girato l’Europa in lungo e in largo, si stabilisce definitivamente a Napoli dove assume l’incarico di direttore del Conservatorio di San Pietro a Majella. Autore prolifico non solo in campo teatrale, Paisiello ha lasciato anche un corpus notevole di musica strumentale e musica sacra, tra messe, mottetti e cantate. La Missa defunctorum viene composta in origine nel 1789 per omaggiare alcuni esponenti di casa Borbone decimati dal vaiolo, ma dieci anni più tardi viene rielaborata e ampliata in occasione delle solenni celebrazioni di suffragio promosse da Ferdinando IV di Borbone per la morte di Papa Pio VI, convinto antirivoluzionario morto in esilio in Francia nell’agosto del 1799.
In quel periodo Napoli è agitata da forti tensioni politiche. La rivolta che ha dato vita alla breve esperienza della Repubblica napoletana ha costretto Ferdinando IV a un esilio forzato a Palermo; ma una volta rientrato nella sua città, il re si mostra intenzionato più che mai a ristabilire lo status quo attraverso una politica coercitiva. Sotto la scure delle punizioni borboniche cade anche il maestro di cappella Paisiello, che viene rimosso da tutti gli incarichi di corte perché reo di non aver seguito il sovrano in esilio e di aver partecipato, invece, all’esperienza repubblicana. Al musicista ostracizzato non resta dunque che tentare di riabilitarsi agli occhi del re con i mezzi a sua disposizione e che meglio conosce, dedicando una nuova versione più ampia e solenne del Requiem del 1789 a Papa Pio VI da poco defunto.
Rispetto alla prima versione, la messa del 1799 si arricchisce di una Sinfonia d’apertura, tragica e austera nella tonalità di do minore, e di quattro Responsorii prima del finale. Come racconta il maestro Riccardo Muti – finissimo interprete e studioso dell’opere di Paisiello, – “l’incipit della Sinfonia è la manifestazione del dolore attraverso la musica che si muove al lugubre passo di una marcia funebre nei paesi dell’Italia del sud”. Ciò che segue è una narrazione sospesa tra dolore e tenerezza, dove la scrittura orchestrale si fa leggera per accompagnare quasi in punta di piedi le voci del doppio coro e dei quattro solisti. Nell’alternanza continua di chiaro-scuri, la bellezza della musica di Paisiello riluce tanto nei passaggi di estrema semplicità, dove poche note e semplicissimi accordi sostengono la parola, quanto nelle sezioni più articolate che ricordano il ricco e sontuoso contesto artistico entro cui ascrivere questa gemma musicale del Settecento napoletano.