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Parkinson: terapia genica contro depositi tossici

La tecnologia digitale abilitata all'intelligenza artificiale della compagnia PreciseDx è in grado di diagnosticare accuratamente la malattia di Parkinson in fase iniziale

Malattia di Parkinson: testata in laboratorio una tecnica di terapia genica capace di ridurre i depositi tossici che causano la morte dei neuroni

Molte malattie neurodegenerative, come il Parkinson o la demenza a corpi di Lewy, colpiscono in modo diffuso le cellule cerebrali. Uno studio italiano dimostra la capacità inedita di un nuovo vettore virale di diffondersi e rilasciare un gene terapeutico in tutto il sistema nervoso centrale, un risultato fondamentale per lo sviluppo di terapie geniche contro queste patologie. Non solo, ma i ricercatori hanno testato la tecnica sul modello sperimentale del Parkinson nel topo, riuscendo a ridurre i depositi tossici che causano la morte dei neuroni e a migliorare la salute degli animali.

Il lavoro è coordinato da Vania Broccoli, capo dell’unità di ricerca in Cellule Staminali e Neurogenesi dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – una delle 18 strutture d’eccellenza del Gruppo Ospedaliero San Donato – e ricercatore presso l’Istituto di Neuroscienze di Milano del CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche. Lo studio è stato pubblicato su Molecular Therapy del gruppo Cell.

Alla base della malattia di Parkinson e di altre simili (i parkinsonismi) c’è la formazione di depositi tossici di proteine, tra cui la principale è nota come sinucleina. Questi depositi causano la morte dei neuroni dopaminergici e rendono mal funzionati molti altri neuroni, con conseguenti sintomi motori debilitanti. Mentre esistono diverse cure per trattare i sintomi, mancano trattamenti efficaci nel rallentare la progressione della patologia, attaccando la formazione dei depositi tossici.

La terapia genica, con la sua capacità di fornire geni terapeutici alle cellule, è un’ottima candidata: sappiamo infatti che l’enzima prodotto dal gene GBA1 è in grado di smaltire questi depositi e ci sono evidenze che indicano una riduzione della capacità di azione di questo enzima nella malattia del Parkinson.

Non solo, ma circa il 5% dei malati di Parkinson – quelli con le forme più aggressive e precoci – presentano una mutazione nel gene GBA1, che rende questo enzima “spazzino” poco efficace. Poter fornire alle cellule nervose di questi pazienti più copie dello stesso gene, potrebbe aiutarle a produrre la giusta quantità di enzima per eliminare i depositi, facendo così regredire la malattia.

Il problema è che i vettori virali impiegati di solito in terapia genica – ovvero i virus che, svuotati del loro contenuto virale, vengono utilizzati per consegnare i geni terapeutici alle cellule – sono incapaci di diffondersi nel sistema nervoso e agiscono solo su aree di tessuto ridotte. Il virus testato nello studio – e messo a punto appena un anno fa presso il California Institute of Technology – è diverso.

La scoperta dell’efficacia di questo nuovo vettore nel superare la barriera emato-encefalica e nel diffondersi in tutto il cervello è fondamentale: cambia le carte in tavola per il trattamento delle malattie neurodegenerative diffuse come il Parkinson”, spiega Vania Broccoli, coordinatore dello studio. “Con questo vettore la terapia genica per questi disturbi diventa molto efficace. Lo abbiamo dimostrato nel caso del Parkinson. Seppure si tratti di un risultato limitato al modello sperimentale, è molto promettente”.

Nello studio infatti, dopo aver caratterizzato la capacità di questo virus di diffondersi in tutto il sistema nervoso centrale, i ricercatori hanno testato la sua efficacia dandogli da consegnare, nel cervello di topi parkinsoniani, il gene terapeutico GBA1, quello che produce l’enzima spazzino in grado di eliminare i depositi proteici. “Una singola iniezione nel sangue di questo virus ha permesso di attivare il gene GBA1 in vaste aree del cervello e prevenire o rallentare la formazione degli accumuli, proteggendo i neuroni”, continua Vania Broccoli. “In animali parkinsoniani questo trattamento ha bloccato lo sviluppo della malattia, mantenendo inalterate le loro capacità motorie e cognitive, con un aumento dell’aspettativa di vita.”

Il prossimo passo sarà testare ulteriormente sicurezza ed efficacia della terapia in laboratorio, per poi poter  arrivare al primo studio sull’uomo.

Lo studio è stato finanziato dalla Comunità Europea, Regione Lombardia e l’associazione americana Michael J. Fox Foundation.

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