Lupus eritematoso sistemico (LES) in pazienti con malattia severa e refrattaria ai trattamenti in essere: associazione rituximab-belimumab promettente
L’adozione di un regime di trattamento di combinazione a base di rituximab (RTX) e belimumab(BEL) sembra essere molto efficace nel lupus eritematoso sistemico (LES) in pazienti con malattia severa e refrattaria ai trattamenti in essere.
Questo il messaggio proveniente da uno studio pilota, presentato a Madrid in occasione del congresso annuale EULAR, che potrebbe aprire una finestra di opportunità nel trattamento di questa categoria di pazienti lupici.
Lo studio
L’idea di utilizzare belimumab dopo il trattamento con rituximab è venuta a seguito dell’osservazione che la deplezione iniziale delle cellule B indotta da RTX stimola l’attività di Blys (stimolatore delle cellule B) che segnala al midollo osseo la necessità di produrre più cellule B. A sua volta, poi, BEL inibisce Blys, noto anche come fattore di attivazione delle cellule B (BAFF).
Uno studio condotto dall’equipe del dr. Teng, del policlinico universitario di Leiden (Paesi Bassi) aveva già dimostrato come la combinazione di RTX e BEL fosse stata in grado di ridurre in modo efficace gli autoanticorpi antinucleari (ANA) e che i pazienti sottoposti a questo regime di trattamento avessero risposto alla terapia dopo 24 settimane.
Nel nuovo studio pilota presentato al Congresso, noto come studio Synbiose, i ricercatori hanno reclutato 15 pazienti adulti con LES severo e refrattario ai regimi di trattamento esistenti, seguiti in un follow-up della durata di due anni.
I pazienti sono stati sottoposti a trattamento con RTX all’inizio dello studio e dopo 2 settimane, e a trattamento con BEL a 4, 6, 8 settimane dall’inizio della terapia con RTX, per poi essere trattati con questo farmaco a cadenza mensile fino a 2 anni.
I risultati dello studio
Alla fine del periodo di osservazione previsto dal protocollo, 10 pazienti (pari al 67% del campione) hanno mostrato una buona risposta clinica al trattamento, in assenza di emersione di particolari problemi di safety.
Due pazienti (13%) hanno preferito effettuare uno switch di trattamento dopo 24 settimane a seguito del desiderio di portare avanti un gravidanza, mentre 8 pazienti (53%) hanno continuato il trattamento assegnato fino al compimento dei 2 anni di follow-up. Cinque pazienti (33%) hanno interrotto il trattamento a causa di una nefrite lupica persistente (n=2), di una recidiva maggiore (n=2) o minore (n=1) (NdR: questi 5 pazienti non hanno risposto al trattamento e sono stati classificati come tali).
I pazienti responder alla terapia, invece, hanno raggiunto la LLDAS (Lupus Low Disease Activity State – una nuova misura di outcome nei trial sul trattamento farmacologico del lupus) dopo un tempo mediano di 24 settimane (range: 12-36), rimanendo in questo stato per 76 settimane (range: 56-92) su un totale di 104 settimane di follow-up.
In 7 pazienti con nefrite lupica attiva, 6 hanno raggiunto una risposta renale completa. Nei pazienti responder è stata documentata, a 2 anni, una riduzione significativa e specifica degli ANA, con il raggiungimento della sieronegatività agli anti-dsDNA in 6 pazienti su 6 sieropositivi inizialmente a questi autoanticorpi. Al contrario, i livelli di IgG totali, e di anticorpi anti-tetano e anti-rosolia sono rimasti stabili.
Mediante tecnica citofluorimetrica, è stato documentato, a 24 settimane, il raggiungimento della deplezione pressochè totale (97%) delle cellule B CD19+.
Dal follow-up a lungo termine è emerso che tale deplezione si è mantenuta nel tempo, con una riduzione mediana persistente stimata intorno all’84%, rispetto alle condizioni di partenza.
I limiti dello studio
Nel commentare i risultati, il dr. Teng, pur sottolineando come “…le risposte cliniche osservate siano state significative e rendano confidenti nella possibilità di condurre nuovi studi sulla validità dell’ipotesi di partenza…” ha invitato alla prudenza nel considerare tali dati come conclusivi. “Lo studio effettuato, infatti – spiega Teng – è uno studio a braccio singolo e, pertanto, non in grado di trarre conclusioni su come questi pazienti potrebbero reagire alle terapie convenzionali, anche se la maggior parte di questi era refrattaria a queste ultime”.
A ciò si aggiunga anche il ruolo che potrebbe aver giocato, nell’ottenimento dei risultati sopra mostrati, l’attenta selezione dei pazienti (lupus con presenza di ANA, positività agli anticorpi anti-dsDNA e al complemento), tutti affetti da malattia lupica prevalentemente guidata dalle cellule B. “Questi pazienti – ha spiegato – potrebbero rappresentare la popolazione lupica ideale per il trattamento combinato con farmaci aventi come bersaglio le cellule B”.
Prossimi passi
Lo studio depone a favore dell’impiego della terapia di combinazione a base di RTX e BEL in popolazioni selezionate, affette da lupus severo.
Il prossimo obiettivo sarà quello di replicare i risultati ottenuti in un nuovo studio (Synbiose-2), finalizzato a mettere a confronto gli effetti immunologici positivi osservati del rituximab e del belimumab con quelli dei trattamenti convenzionali (micofenolato, steroidi).