Diabete di tipo 1, nei soggetti a rischio l’anticorpo monoclonale sperimentale teplizumab ritarda l’insorgenza di almeno 2 anni
Nei soggetti ad alto rischio di sviluppare il diabete di tipo 1, l’anticorpo monoclonale sperimentale teplizumab ha dimostrato di ritardare l’insorgenza della malattia di oltre due anni, secondo quanto emerso dallo studio di fase II “At-Risk” presentato al congresso dell’American Diabetes Association(ADA) 2019 e pubblicato sul New England Journal of Medicine.
Il trial clinico è stato sponsorizzato dal National Institutes of Health (NIH) e condotto dal Type 1 Diabetes TrialNet, una collaborazione internazionale impegnata a identificare i modi per ritardare o prevenire il diabete di tipo 1, che ha valutato in questa ottica il potenziale di teplizumab nei pazienti ad alto rischio di sviluppare la malattia.
Teplizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato anti-CD3 che agisce riducendo gli attacchi dei linfociti contro le cellule beta pancreatiche produttrici di insulina. Originariamente sviluppato da MacroGenics, il farmaco era stato concesso in licenza a Eli Lilly nel 2007. Dopo il fallimento nel 2010 di uno studio di fase III in pazienti diabetici con malattia a insorgenza recente, Lilly aveva restituito i suoi diritti sul farmaco. La scorsa primavera la biotech statunitense Provention Bio ha raggiunto un accordo con MacroGenics per acquisire i diritti sul farmaco, scommettendo sul suo potenziale di bloccare la reazione immunitaria diretta contro le cellule beta.
Il trial At-Risk
Lo studio di fase II, randomizzato, controllato con placebo e in doppio cieco, ha coinvolto 76 partecipanti di età compresa tra 8 e 49 a rischio di sviluppare il diabete di tipo 1 perché avevano due o più autoanticorpi T1D e un alterato metabolismo del glucosio (disglicemia). Il 72% dei partecipanti aveva meno di 18 anni. I soggetti sono stati randomizzati a ricevere teplizumab o placebo.
I risultati hanno dimostrato che un singolo ciclo di 14 giorni di trattamento ha ritardato significativamente l’insorgenza e la diagnosi clinica di diabete di tipo 1 rispetto al placebo nei bambini e negli adulti considerati ad alto rischio. Se con il placebo il tempo mediano alla diagnosi era di poco superiore ai 24 mesi, con teplizumab era di circa 48 mesi (p=0,006).
Nei 60 mesi successivi alla randomizzazione, hanno sviluppato la malattia il 72% dei soggetti nel gruppo placebo rispetto a solo il 43% del gruppo teplizumab. I tassi annualizzati di diagnosi di diabete erano del 14,9% all’anno nel gruppo teplizumab e del 35,9% nel gruppo placebo. Il farmaco è stato ben tollerato e i dati di sicurezza sono stati coerenti con quelli degli studi precedenti in pazienti di nuova diagnosi.
«Ora capiamo che essenzialmente tutti i parenti stretti di persone con diabete di tipo 1 e che presentano più auto-anticorpi possono essere considerati come affetti dalla forma precoce e asintomatica della malattia», ha commentato Carla Greenbaum del Benaroya Research Institute di Seattle e presidente di TrialNet. «Nello stesso modo in cui trattiamo la presenza asintomatica dell’ipertensione per prevenire un attacco di cuore o un ictus, questi risultati forniscono una prova evidente che ci stiamo avvicinando a un futuro in cui possiamo identificare e trattare il diabete di tipo 1 molto prima che si verifichino i sintomi».
Un nuovo approccio con il trattamento preventivo
«Questo studio dimostra che possiamo usare l’immunoterapia, in particolare il teplizumab, per prevenire o ritardare in modo significativo l’insorgenza del diabete di tipo 1 per almeno due anni nelle persone che quasi certamente progrediranno verso la malattia», ha affermato Eleanor Ramos, responsabile medico di Provention. «Fatto ancora più rilevante è che circa il 60% dei soggetti in studio non ha sviluppato il diabete dopo un solo ciclo di terapia, un numero doppio rispetto al gruppo placebo».
«Questi risultati hanno un reale significato clinico per gli individui a rischio di sviluppare il diabete di tipo 1 in quanto familiari di pazienti diabetici» ha detto l’autore principale dello studio Kevan Herold, dell’Università di Yale. «Ritardare l’insorgenza della malattia può significare che il carico patologico potrebbe essere posticipato fino a un punto in cui i pazienti sono maggiormente in grado di gestire la loro condizione, come per esempio dopo l’infanzia, la scuola elementare, il liceo o anche il college. Con teplizumab ora sappiamo di poter intervenire e modificare la progressione del diabete in questi soggetti a rischio».
«È straordinario notare che un singolo ciclo di terapia di due settimane abbia ridotto l’incidenza del diabete di quasi il 50%. Questi dati ci dicono chiaramente che l’immunoterapia a breve termine può rallentare in modo significativo l’insorgenza della malattia. Lo sviluppo di farmaci immuno-modulanti che possono evitare una terapia continuativa rappresenterebbe un vero e proprio cambio di paradigma», ha dichiarato Jeffrey Bluestone dell’UC San Francisco (UCSF) Diabetes Center e direttore di Provention Bio.
«La capacità di ritardare l’insorgenza del diabete di tipo 1 è una svolta fondamentale, dato che secondo uno studio recente nei pazienti che vengono diagnosticati prima dei dieci anni l’aspettativa di vita è ridotta in media di 16 anni» ha affermato Ashleigh Palmer, Ceo della compagnia. «Sulla base dei risultati ottenuti stiamo valutando un percorso normativo per teplizumab nei soggetti a rischio e stiamo studiando il farmaco anche nei soggetti con diabete di nuova diagnosi nello studio di fase III PROTECT, che è iniziato lo scorso aprile. Il nostro obiettivo più ampio è affrontare il continuum del diabete di tipo 1 e fornire nuove opzioni terapeutiche per una malattia per la quale non ci sono state vere innovazioni dopo lo sviluppo dell’insulina un secolo fa».