Sindrome da attivazione macrofagica: primi dati incoraggianti dall’impiego di emapalumab in uno studio pilota presentato all’EULAR 2019
Il trattamento con un nuovo anticorpo diretto contro l’interferone-gamma (IFN-gamma), emapalumab, ha portato ad una rapida neutralizzazione di questa citochina, come documentato dalla normalizzazione dei livelli di un biomarcatore, CXCL9, insieme con la scomparsa della sintomatologia clinica in un campione di pazienti affetti da sindrome da attivazione macrofagica (MAS).
Queste le conclusioni parziali provenienti dal “braccio europeo” di uno studio pilota, presentato al congresso EULAR dal prof. Fabrizio De Benedetti (UOC Reumatologia, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma), che ha dimostrato l’efficacia del trattamento con l’inibitore di IFN-gamma nel controllare la Sindrome, insieme ad un profilo favorevole di safety.
Lo studio in questione è stato premiato con il Kourir Award, assegnato all’abstract posizionatosi al primo posto tra quelli presentati quest’anno all’EULAR in Reumatologia Pediatrica.
Cos’è la MAS
La sindrome da attivazione macrofagica (MAS) è una complicanza molto frequente di alcune malattie reumatologiche – in particolare di quella che chiamiamo artrite idiopatica giovanile sistemica nel bambino o malattia di Still dell’adulto.
Si caratterizza per un’attivazione eccessiva e da una espansione delle cellule T e dei macrofagi, e si caratterizza per la presenza di febbre, epatosplenomegalia, disfunzione epatica, citopenia, anomalie della coagulazione e iperferritinemia.
“La mortalità associata a questa complicanza – ha ricordato il prof. De Benedetti, è compresa tra il 10 e il 25% con le terapie attuali, che si basano sull’impiego di dosi più elevate di glucocorticoidi, ciclosporina ed eventualmente dosi elevate di inibitori di IL-1 come anakinra”.
La scelta di emapalumab
Emapalumab è un anticorpo monoclonale totalmente umanizzato che si lega all’interferone-gamma – sia libero che legato al suo recettore – neutralizzandolo. Il farmaco è stato approvato nel novembre scorso dalla Food and Drug Administration come primo trattamento per la linfoistiocitosi emofagocitica primaria (HLH).
L’impiego di questo anticorpo monoclonale impedisce la dimerizzazione dei recettori dell’interferone-gamma, bloccando la cascata che viene attivata dall’iperproduzione di questa molecola.
Alcuni studi traslazionali recentemente pubblicati in letteratura hanno suggerito come una sovrapporduzione incontrollata di IFN-gamma possa essere un fattore trainante principale di iperinfiammazione e ipercitochinemia nella MAS e nella HLH, mentre è già nota l’efficacia del farmaco sull’uomo nel controllare l’attività di malattia in pazienti con HLH primaria.
Da qui il nuovo studio pilota, che si è proposto di verificare se il blocco di IFN-gamma con emapalumab, registrato mediante un biomarcatore opportuno (CXCL9), fosse in grado di controllare l’attività di malattia in pazienti con AIG sistemica complicata da MAS.
Lo studio
Lo studio pilota in questione, in aperto, privo di braccio placebo e costituito da due bracci di trattamento in base all’area geografica interessata (Europa, Usa), ha reclutato pazienti con MAS (definita sulla base dei criteri di classificazione congiunti ACR/EULAR del 2016), associata ad AIG sistemica confermata o presunta e risposta inadeguata a trattamento con dosi elevate di glucocorticoidi endovena.
I pazienti reclutati sono stati sottoposti trattamento iniziale endovena con emapalumab 6 mg/kg, seguito da trattamento a dose dimezzata due volte/settimana per un totale di 4 settimane o fino al raggiungimento della “risposta completa al trattamento” – definita dall’assenza di segni clinici di Sindrome da Attivazione Macrofagica in aggiunta a conta leucocitaria e piastrinica al di sopra del limite inferiore di normalità, LDH, AST/ALT inferiori di 1,5 volte il limite superiore di normalità fibrinogeno >100 mg/dl e ferritina ridotta dell’80% (o più dell’80%) o a livelli .
I ricercatori hanno misurato le concentrazioni sieriche di emapalumab e, tra i biomarcatori indicativi della presenza di IFN-gamma, di CXCL9.
I due bracci di trattamento (europeo e statunitense) avevano lo stesso protocollo: all’EULAR sono stati presentati i dati relativi ai 6 pazienti ingaggiati nello studio europeo, mentre il braccio Usa è partito da poco.
Efficacia del trattamento
I sei pazienti del braccio europeo dello studio (5 di sesso femminile; età mediana: 11 anni; range 2-25 anni) sono stati sottoposti a trattamento con emapalumab per un tempo compreso dalle 3 alle 4 settimane. Prima del trattamento con l’inibitore di IFN-gamma, i pazienti in questione erano risultati refrattari ai trattamenti standard utilizzati per la Sindrome da Attivazione Macrofagica.
Dallo studio è emerso che le concentrazioni raggiunte di emapalumab hanno portato ad una rapida neutralizzazione di IFN-gamma, come documentato dai livelli di CXCL9. In tutti i pazienti, è stata raggiunta la risposta completa al trattamento dopo 8 settimane. Inoltre, la tollerabilità al trattamento è risultata positiva, al punto che nessuno dei pazienti trattati con emapalumab ha sospeso il trattamento.
“Gli step futuri – ha aggiunto il prof. De Benedetti, in conclusione, ai nostri microfoni – sono quelli di completare lo studio (portando a termine la sperimentazione anche nel braccio statunitense) e di discutere con gli enti regolatori preposti (FDA ed EMA) il numero di pazienti necessari per ottenere rapidamente l’approvazione dell’indicazione all’impiego di questo farmaco nel trattamento di questi pazienti”.