In Italia 600mila con scompenso cardiaco, ma la patologia è sottovalutata: il numero cresce fino a 3 milioni se consideriamo le forme latenti, misconosciute
In Italia sono oltre 600mila i pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco, quando in realtà il numero cresce fino a 3 milioni se consideriamo le forme latenti, misconosciute.
Un numero importante, sempre in crescita, per via del miglioramento delle tecniche di assistenza per patologie acute, come ad esempio l’infarto cardiaco e croniche come l’ipertensione. Se da un lato, infatti, tali terapie aiutano la sopravvivenza nel caso di eventi acuti, dall’altro hanno provocato un incremento di scompensi cardiaci di circa il 40% dei casi nell’arco di pochi anni.
Le prime cause di scompenso cardiaco, riferisce l’Agenzia Dire (www.dire.it) sono la cardiopatia ipertensiva e cardiopatia ischemica, mentre sono in diminuzione le cardiopatie valvolari, la cui incidenza si è ridotta grazie a un sapiente uso delle terapie antibiotiche.
“Quando si parla di scompenso cardiaco si fa un gravissimo errore di calcolo – spiega Francesco Vetta, noto Cardiologo, Aritmologo presso le CDC Paideia e Mater Dei di Roma -. Si tratta di una malattia che non desta, erroneamente, particolare preoccupazione, e la si sottovaluta. Al contrario, la percezione che la popolazione ha verso il tumore e le sue varie forme è di gran lunga maggiore – sottolinea lo specialista -. Questo gap culturale dipende dalla scarsa informazione a riguardo. Eppure la mortalità nello scompenso è molto più alta: circa il 50% dei pazienti con scompenso cardiaco, a distanza di 4-5 anni, muore”.
“Occorre prestare molta cautela in questo senso, serve prevenire lo sviluppo dello scompenso cardiaco facendo attenzione al peso corporeo, al controllo dell’ipertensione, alla prevenzione e al trattamento della cardiopatia ischemica, così come è fondamentale un precoce riconoscimento dello stesso per il miglior trattamento possibile con modifiche dello stile di vita e mirate terapie farmacologiche ed eventualmente non farmacologiche con l’impiego anche di Pacemakers specifici”.
Conoscere la patologia
Lo scompenso cardiaco consiste in un’alterazione della struttura e della funzione cardiaca che provoca un’insufficiente funzione di pompa del cuore. Gli organi e i tessuti ricevono quindi quantità di ossigeno e nutrienti non sufficienti alle loro esigenze metaboliche. La reazione dell’organismo all’insufficiente funzione del cuore causa un accumulo di liquidi nei polmoni e nei tessuti. Le conseguenze di ciò sono: affanno, gonfiore agli arti inferiori, ridotta tolleranza allo sforzo, affaticamento. La condizione può aggravarsi fino a portare all’edema polmonare acuto e alla morte. E’ stato dimostrato, infatti, che dopo i 65 anni lo scompenso rappresenta la prima causa di ricovero in ospedale.
I numeri
L’età media al momento della diagnosi di scompenso cardiaco è 76 anni. Al momento della nascita sappiamo che una persona su sei svilupperà scompenso cardiaco nella vita. L’incidenza di scompenso cardiaco raddoppia per ogni decade di età dopo i 45 anni tanto che la prevalenza nella popolazione totale passa dal 2% tra i 40 e 59 anni, al 5% tra i 60 ed i 69 anni,raggiungendo il 10% oltre i 70 anni. La spesa ospedaliera annua per tale patologia è pari a 570 milioni di euro, mentre quella complessiva (comprensiva di quella extraospedaliera) è pari a 780 milioni di euro (1,4% della spesa sanitaria complessiva).
Le terapie
E’ andata via via migliorando la terapia farmacologica, consentendo un incremento della sopravvivenza, con le conseguenze, positive e negative, di cui abbiamo già parlato. La terapia, però, migliora anche grazie alle terapie non farmacologiche, come l’impianto di defibrillatori e di pacemaker, utili per garantire una resincronizzazione ventricolare. Quando si verifica uno scompenso cardiaco, spesso la sequela di attivazione elettrica delle pareti ventricolari non è più coordinata come lo era prima. Utilizzando questi strumenti biventricolari, quindi, si possono stimolare tali pareti, aumentando la capacità contrattrile complessiva del cuore.
“Occorre ricordare che chi soffre di scompenso cardiaco è particolarmente esposto al rischio di morte improvvisa, con percentuali superiori al 50% dei casi – aggiunge il Prof. Vetta -. Quindi un defibrillatore può interrompere queste aritmie ventricolari ove necessario, salvando la vita. Purtroppo, ancora adesso, l’accesso all’impiego di queste terapie non farmacologiche riguarda solo il 35-40% dei pazienti con tale indicazione. Questo è attribuibile ad un diffuso atteggiamento ageistico favorito dagli scarsi dati presenti in letteratura. Finalità di questo congresso è anche quella di creare un percorso condiviso tra i vari Specialisti, ribadendo la necessità di un “Heart team” con valutazioni plurispecialistiche per poter meglio disegnare il percorso di salute individuale del paziente, come in uso presso il nostro Centro”.