Malattie scheletriche rare: i pazienti attendono nuovi farmaci come denosumab, vosoritide e palovarotene in fase di sperimentazione in studi di Fase III
Gli attuali regimi di trattamento per le malattie scheletriche rare consistono principalmente in approcci sintomatici, come la fisioterapia e le procedure chirurgiche. Nell’ultimo decennio, però, l’aumento delle conoscenze nel campo delle malattie rare ha portato a nuovi orientamenti terapeutici: una migliore comprensione delle diverse fisiopatologie alla base di una stessa malattia consente infatti, oggi, varie strategie per un trattamento farmacologico più personalizzato, come il denosumab nell’osteogenesi imperfetta di tipo VI o il burosumab nell’ipofosfatemia legata all’X, una forma di rachitismo ereditario dovuto a mutazioni nel gene PHEX.
Un team dell’Università di Colonia, in uno studio pubblicato sulla rivista Paediatric Drugs, ha ripercorso le alterazioni genetiche che causano alcune malattie scheletriche e le più recenti scoperte di nuove molecole per il loro trattamento. Gli studiosi tedeschi hanno esaminato cinque patologie: l’osteogenesi imperfetta, l’acondroplasia, il rachitismo ipofosfatemico, l’ipofosfatasia e la fibrodisplasia ossificante progressiva.
La maggior parte dei farmaci sono stati progettati per interagire in modo specifico con la cascata di enzimi e proteine coinvolti nella malattia. Alcuni sono già stati approvati dalle autorità regolatorie, come l’asfotase alfa per l’ipofosfatasia nel 2015 e il burosumab per l’ipofosfatemia legata all’X (XLH) nel 2018; altri, invece, sono attualmente in fase di sperimentazione in studi di Fase III, come il denosumab, il vosoritide e il palovarotene.
Per i pazienti e le famiglie si tratta di un’opportunità significativa, che potrebbe cambiare la storia naturale di queste condizioni invalidanti. In alcuni casi, come per la fibrodisplasia ossificante progressiva, l’ipofosfatasia e l’acondroplasia, prima dello sviluppo di questi medicinali non era disponibile alcun trattamento farmacologico; in altre malattie, come l’osteogenesi imperfetta e la XLH, la terapia attualmente utilizzata non è specifica per la patologia di base. L’uso di farmaci specifici per la malattia offre infatti la possibilità di un trattamento più efficace, che potrà ridurre la necessità di interventi ortopedici: ciò nonostante, questi medicinali non rappresenteranno una cura definitiva, e un approccio terapeutico multidisciplinare resta quindi necessario per la cura dei pazienti.
Poiché tutte queste malattie sono rare, il numero dei pazienti esaminati negli studi è esiguo e la conoscenza degli effetti collaterali meno frequenti e degli esiti a lungo termine è limitata. Perciò – raccomandano i medici tedeschi – i pazienti con malattie scheletriche rare dovrebbero essere trattati e monitorati in centri altamente specializzati, per garantire al paziente la massima sicurezza e per avere la possibilità di raccogliere dati sugli effetti collaterali e sull’efficacia dei farmaci, al fine di migliorare ulteriormente le strategie di trattamento per queste rare condizioni.
“In futuro sarà necessario definire i criteri di risposta di tutti questi farmaci, come nel caso di altre malattie comuni: l’efficacia di questi agenti deve essere valutata in particolare per quanto riguarda i parametri relativi al paziente, come l’aspettativa la qualità della vita”, scrivono gli studiosi di Colonia. “A causa dell’alto costo dei farmaci per le malattie rare, sono urgentemente necessarie delle raccomandazioni chiare sui tempi e sulla durata del trattamento. Le potenziali nuove terapie, che potrebbero curare la malattia correggendo il difetto molecolare [come la terapia genica o l’editing genomico, N.d.R.], sono certamente auspicabili, ma nello sviluppo di farmaci ci si dovrebbe concentrare sul miglioramento della terapia medica attualmente disponibile. Inoltre, nuove opzioni terapeutiche potrebbero essere ottenute attraverso una maggiore consapevolezza non solo nel campo della pediatria, ma anche nelle specializzazioni prenatali e ostetriche”, concludono gli autori dello studio.
Un altro problema importante relativo a queste malattie è il ritardo diagnostico, che si avvicina ai sette anni: dimezzarlo è l’ambizioso obiettivo della ERN BOND, la Rete di Riferimento Europea dedicata alle patologie dell’osso. La Rete comprende 38 centri in 10 Paesi europei, per un totale di 150 operatori sanitari: a coordinarla è un italiano, il dr. Luca Sangiorgi. I centri che ne fanno parte nel nostro Paese sono sette: il Burlo Garofolo di Trieste, l’Azienda Ospedaliera di Verona, l’Azienda Ospedaliera di Padova, il Policlinico di Milano, il Gaslini di Genova, il Careggi di Firenze e l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna.