Emergenza sul fiume Melfa, in provincia di Frosinone: poca acqua e deviazioni misteriose con l’alveo dell’affluente di sinistra del Liri modificato da ignoti per un tratto lungo 600 metri
Mentre nella Capitale è emergenza rifiuti e tutti gli impianti di smaltimento e trattamento del Lazio lavorano a pieno regime dopo l’ordinanza emergenziale del governatore Nicola Zingaretti, a Roccasecca, in provincia di Frosinone, 40 chilometri a Nord dal confine con l’Alto Casertano, l’alveo del fiume Melfa, affluente di sinistra del Liri, viene modificato per un tratto lungo 600 metri.
IL SEQUESTRO DELL’AREA, LA NOTIZIA ARRIVA ALL’OPINIONE PUBBLICA
Succede in località Cerreto, a pochi metri dalla discarica gestita dalla Mad Srl, tra gli impianti interessati dall’ordinanza regionale che due giorni fa il Coordinamento dei sindaci della provincia di Frosinone, proprio su iniziativa del primo cittadino di Roccasecca, Giuseppe Sacco, hanno annunciato di voler impugnare al Tar per dire ‘No’ ai rifiuti romani.
E succede che a darne notizia all’opinione pubblica, a inizio luglio, sia Mauro Marsella, presidente del Comitato per la salvaguardia del fiume Melfa, che per caso, in una delle sue passeggiate lungo il corso d’acqua, si accorge che c’è un’area posta sotto sequestro dalla Polizia Municipale di Roccasecca. Sequestro poi convalidato dalla Procura di Cassino, che ora sta svolgendo le indagini.
“Il sequestro è relativo a un’opera artificiale, compiuta non sappiamo da chi, per spostare il corso del fiume dalla sponda destra, dove scorreva l’acqua, alla sponda sinistra – spiega al’Agenzia Dire (www.dire.it) Marsella-. Il lato destro è stato riempito con terra trasportata in un punto in cui il fiume è largo circa 50-60 metri. Non abbiamo fatto delle misurazioni, ma posso dire che il 90% circa in larghezza è stato riempito, il livello naturale dell’alveo è stato rialzato e il fiume, per caduta, si è spostato sulla sinistra”.
Un’operazione compiuta in poco tempo, “perché dieci giorni prima – continua Marsella – non c’era traccia di manomissioni artificiali”.
Ma qual è lo stato dei luoghi? “Tra la discarica e il fiume c’è una strada che scende dalla discarica, posta ad un piano superiore – spiega il presidente del Comitato -. In prossimità di questa strada, che scende verso il fiume con una serie di minitornanti, c’è stato il sequestro di quest’area molto vasta. Il posto non è visibile perché è sotto la strada, in una zona ai confini con Colfelice e San Giovanni Incarico”.
Non azzarda ipotesi, Marsella, che dichiara: “Non c’è in programma alcuna manifestazione, ma l’opinione pubblica è molto sensibile. Abbiamo piena fiducia nella magistratura”.
Fiducia espressa anche dal sindaco Sacco: “Aspettiamo che la magistratura faccia il suo lavoro e alla fine trarremo le conclusioni – dichiara alla Dire -. So che per tagliare un albero all’interno del letto di un fiume c’è bisogno dell’autorizzazione, vediamo se è tutto in regola. Più che preoccupazione, c’è sconforto rispetto all’iniziativa di chi, con assoluta disinvoltura, modifica il letto di un fiume per circa 600 metri, andando a trasformare lo stato dei luoghi”.
LA DISCARICA DI ROCCASECCA, TRA AUTORIZZAZIONI E RICORSI
La discarica di Roccasecca sorge proprio accanto al Melfa e la storia dei suoi ultimi mesi è segnata da richieste di autorizzazione per la sopraelevazione dei bacini impugnate da parte del Comune di Roccasecca. La prima richiesta di sopraelevazione è per 800mila tonnellate circa, bocciata dalla Regione Lazio, a cui segue di pochi mesi una seconda per 150mila tonnellate, accolta dall’ente.
Il Comune di Roccasecca non ci sta e impugna l’autorizzazione alla presidenza del Consiglio dei Ministri, motivando il ricorso con “la presenza di vincoli paesaggistici e la violazione della fascia di rispetto di 150 metri prevista dalla legge Galasso”. La discarica, infatti, dista “108 metri dal fiume”, chiarisce Sacco. Adesso, dopo lo spostamento, “siamo al limite o comunque in prossimità dei 150 metri”, specifica Marsella.
Intanto, il 7 marzo la presidenza del Consiglio dei ministri “si pronuncia riducendo la sopraelevazione del quarto bacino a 10 metri – chiarisce Sacco – e a 14 mesi il limite temporale di esercizio del sito, per un totale di circa 75-80mila tonnellate”. Sacco decide di impugnare la decisione della presidenza del Consiglio dei Ministri al Tar, che “in un primo momento sospende l’autorizzazione e il provvedimento del Consiglio dei Ministri. La discarica rimane chiusa per circa dieci giorni a inizio aprile, dopodiché, all’esito di una richiesta del gestore della discarica alla Regione Lazio, ci convoca il presidente del Tar e dopo questa riunione fuori udienza revoca il provvedimento di sospensione”.
Torna in vigore il provvedimento del Consiglio dei Ministri e si va in udienza per la sospensiva. Udienza in cui il Tar decide di non sospendere l’autorizzazione. A quel punto “decidiamo di impugnare il provvedimento di diniego della sospensione al Consiglio di Stato, l’udienza è fissata per il 18 luglio“.
LA VERA EMERGENZA DEL FIUME MELFA: L’ASSENZA DI ACQUA
Ma lo spostamento dell’alveo è solo l’ultima tappa dell’intervento umano sul Melfa, in cui la vera emergenza ambientale, per Marsella, “è la mancanza di acqua” e l’assenza del Minimo Deflusso Vitale (Mdv) che “da legge nazionale del 2006 tutti i fiumi d’Italia dovrebbero avere”.
Appena sotto le sue sorgenti sul monte Petroso, nel versante laziale del Parco Nazionale dell’Abruzzo, del Lazio e del Molise, “c’è una prima captazione nella Valle di Canneto da parte di Acea Ato 5 che capta l’acqua per usi umani, per servire la provincia di Frosinone”.
Immediatamente a valle “c’è la diga di Grottacampanaro” (dal 1953 serbatoio di riserva dell’Enel, ndr) “che capta un bacino molto importante per alimentare una centrale idroelettrica a circa 20 chilometri di distanza. Attraverso una conduttura sotterranea artificiale l’acqua del fiume viene trasportata nella valle di Cassino, dove viene generata energia elettrica e l’acqua viene reimmessa in un altro alveo, che non è più quello del fiume Melfa”.
Infine, “c’è il consorzio di miglioramento fondiario del Melfa – sottolinea il presidente del Comitato – che capta acqua per uso irriguo, perinnaffiare il fagiolo cannellino Dop di Atina“.
Il fiume giunge alle Gole, nell’area Sic-Zps (Sito di interesse comunitario-Zona di protezione speciale) compresa tra i comuni di Casalvieri, Arpino, Santopadre, Roccasecca, Casalattico, Colle San Magno, “che è praticamente secco, se non nelle piene che ci sono durante l’anno”. Come se non bastasse, agli inizi degli Anni 2000, proprio sulla confluenza tra il Melfa e il Liri “nasce la discarica”.
UNA SPERANZA DI RINASCITA: IL RIPRISTINO DELLO STATO DEI LUOGHI E IL CONTRATTO DI FIUME
L’unica speranza per il fiume Melfa è il contratto di fiume, che grazie ad un avviso pubblico della Regione Lazio, dovrebbe vedere la luce nei prossimi mesi. “Cercheremo attraverso il contratto di sollecitare la Regione Lazio a ottenere il deflusso minimo vitale, perché ha, prima fra tutti, competenze in questo senso – conclude Mauro Marsella -. Come Comitato, rispetto alle ultime vicende dello spostamento dell’alveo, chiediamo oltre all’individuazione e punizione dei responsabili, anche il ripristino della situazione naturale precedente che è stata manomessa”.