Tumori: con le tecnologie “nano” la ricerca fa passi avanti. Dalla diagnosi alla terapia, aprono la strada a nuovi orizzonti di cura
“Come quando si immerge una ciambella nello zucchero, le nanoparticelle immerse nel sangue vengono ricoperte da speciali ‘corone’ di molecole che sono diverse nei pazienti sani rispetto a quelli con tumore.” Sono le parole dell’autore di uno studio, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati su Nanoscale Horizon. Nell’articolo è descritto un nuovo modo di utilizzare le nanoparticelle per la diagnosi dei tumori già in fasi molto precoci.
Un secondo studio, i cui risultati sono invece stati pubblicati sulla rivista Nanomedicine: Nanotechnology, Biology and Medicine, ha dimostrato che speciali nanoparticelle di biossido di titanio sono in grado, una volta attivate da microonde, di aumentare le concentrazioni nelle cellule tumorali di particolari sostanze, chiamate in gergo reactive oxygen species (ROS) e più comunemente conosciuti come radicali liberi. I ROS così aumentati nelle cellule tumorali sembrano causare la morte delle cellule stesse, senza coinvolgere le cellule sane. “I ROS sono composti famosi per il loro potere ossidante dannoso per le cellule e abbiamo visto che la combinazione di queste nanoparticelle e delle microonde è in grado di generare livelli di ROS sufficienti a distruggere il tumore” affermano gli autori. “Inoltre le microonde possono arrivare più in profondità della luce, già usata per attivare alcune nanoparticelle, e risultano di conseguenza utili anche in caso di tumori più profondi” aggiungono.
Nanotecnologie ancora lontane dalla pratica clinica
Quelli citati sono solo due esempi, ancora sperimentali e non pronti all’uso in clinica, delle possibili applicazioni delle nanotecnologie in oncologia, su cui si sta concentrando l’interesse del mondo scientifico. La promessa delle nanotecnologie in medicina sembra risiedere nella capacità di agire su una scala, quella “nano”, da 100 a 10.000 volte più piccola di quella della cellula umana. Ciò dovrebbe permettere a queste particelle di operare sullo stesso piano nel quale avviene buona parte dei processi biologici, inclusi quelli che provocano il cancro. Il settore sta offrendo contributi sperimentali di interesse per la lotta contro i tumori, anche se la sicurezza e la possibile tossicità di queste tecnologie sono indagate con attenzione.
Dalla diagnosi…
La diagnostica è senza dubbio un campo di applicazione molto rilevante per le nanotecnologie legate all’oncologia. In particolare sono già stati messi a punto speciali mezzi di contrasto costituiti proprio da nanoparticelle che, con le loro caratteristiche e grazie all’aiuto di speciali piattaforme e tecnologie, possono identificare il tumore con una precisione mai raggiunta in precedenza. Per esempio, alcuni ricercatori della Stanford University e del Memorial Sloan Kettering Cancer Center negli Stati Uniti hanno sviluppato nanoparticelle capaci di delineare i margini dei tumori cerebrali prima e durante l’intervento, offrendo al chirurgo un punto di vista privilegiato e mettendolo in grado di riconoscere (ed eliminare) anche le singole cellule tumorali. Altre particelle sono state progettate per la diagnosi specifica di melanomi o tumori della prostata e molte altre sono in fase di studio.
… alla terapia
In campo terapeutico le nanoparticelle possono offrire contributi associati alle dimensioni estremamente ridotte che permettono loro, per esempio, di attraversare la parete dei vasi e di arrivare direttamente al tumore accumulandosi all’interno della massa cancerosa. Anche la barriera emato-encefalica, di ostacolo al passaggio di molti farmaci, può essere attraversata da alcune nanoparticelle capaci così di raggiungere il sistema nervoso centrale. Infine, ma non certo meno importante, le nuove tecnologie hanno permesso di costruire veri e propri “nanoveicoli”attraverso i quali è possibile migliorare la stabilità di alcune molecole e farle arrivare fino all’organo bersaglio. In alcuni casi queste nanoparticelle terapeutiche riconoscono la cellula tumorale e la distruggono solo dopo essere state attivate dall’esterno, magari con la luce o, come nella ricerca citata in apertura, con le microonde.
Si tratta tuttavia di studi ancora sperimentali, che necessitano di validazioni cliniche in grado di stabilire sia la tollerabilità sia l’efficacia.