Tumore della cervice uterina: identificata una firma molecolare costituita da tre geni che in futuro potrebbe evitare trattamenti inefficaci e potenzialmente tossici alle pazienti
Predire la risposta al trattamento nelle pazienti con tumore della cervice uterina potrebbe essere possibile grazie ai risultati di una ricerca frutto della collaborazione multidisciplinare tra la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica, la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e l’ENEA – Divisione Tecnologie e metodologie per la salvaguardia della salute (in collaborazione con ISPAAM- CNR).
Lo studio ha portato all’identificazione di una firma molecolare composta da tre geni (ANXA2, NDRG1 e STAT1) in grado di predire la risposta al trattamento radiochemioterapico (CRT) neoadiuvante nelle pazienti con tumore della cervice uterina localmente avanzato. I ricercatori coinvolti nel progetto, con professionalità e competenze diverse (clinici, biologi molecolari, radiobiologi, farmacologi, bioinformatici), sono stati coordinati dal professor Giovanni Scambia, Ordinario di Clinica Ostetrica e Ginecologica presso l’Università Cattolica e Direttore Scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli, IRCCS, dalla dottoressa Daniela Gallo, Dirigente sanitario dell’Università Cattolica e Responsabile dell’Unità di Medicina Traslazionale per la Salute della Donna e del Bambino del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, e dalla dottoressa Carmela Marino, responsabile della divisione ENEA di “Tecnologie e Metodologie per la Salvaguardia della Salute”.
I risultati, oggetto di un brevetto presentato a Techshare Day 2019 a Torino lo scorso 25 giugno, sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Experimental & Clinical Cancer Research.
“Nel nostro Dipartimento, la radiochemioterapia neoadiuvante seguita da chirurgia radicale rappresenta l’opzione terapeutica più frequentemente utilizzata nelle pazienti con tumore della cervice localmente avanzato. Tuttavia, il 30% circa delle pazienti non risponde ottimamente alla terapia e presenta una ripresa di malattia precoce. Queste evidenze cliniche sono state alla base di un ambizioso progetto di ricerca traslazionale volto ad identificare potenziali biomarcatori predittivi di risposta nel nostro setting clinico”, spiega il professor Giovanni Scambia.
“Si è trattato di un lavoro molto articolato che, partendo dalla comparazione del profilo proteico delle biopsie tissutali di pazienti con risposta nota alla terapia (sensibili o resistenti al trattamento CRT) si è sviluppato fino alla comprensione dei meccanismi molecolari che sottendono il ruolo dei 3 geni identificati come biomarcatori di risposta (i.e. ANXA2, NDRG1 e STAT1)”, continua la dottoressa Marianna Buttarelli, biologa presso l’Istituto di Clinica Ostetrica e Ginecologica e primo autore della pubblicazione.
“L’algoritmo di machine learning da noi sviluppato – aggiunge infine la dottoressa Daniela Gallo – consente di determinare la probabilità di sensibilità o resistenza alla CRT, a partire dal livello di espressione dei marcatori d’interesse, misurati con una metodica di analisi di uso comune nei laboratori e di facile utilizzo. Una volta validati su una coorte più ampia di pazienti, questi risultati potrebbero rappresentare un importante passaggio verso l’applicazione di approcci terapeutici personalizzati nel trattamento della malattia. L’identificazione di biomarcatori molecolari predittivi di risposta alla terapia, cioè caratteristiche oggettivamente misurabili e valutabili, costituisce infatti uno degli obiettivi più importanti della medicina personalizzata. Determinante ai fini della traslazionalità della ricerca, è soprattutto la capacità di trasferire nella pratica clinica i risultati ottenuti in laboratorio, cioè in altre parole di realizzare kit destinati ad uno screening rapido e poco costoso delle pazienti”, conclude la dottoressa Gallo.