Anoressia: solo l’8% dei casi è di origine psicologica. Il restante 92% è imputabile a patologie oncologiche, malattie neurologiche e cause varie
Una “mancanza di appetito patologica, che non è rifiuto consapevole del cibo, ma la perdita del senso di fame e del desiderio di mangiare con un persistente senso di pienezza” è la definizione della XVII edizione dal prestigioso testo Harrison’s Principles of Internal Medicine. La malnutrizione calorico proteica (MCP) è una condizione che caratterizza moltissime malattie acute, croniche, oncologiche e che rappresenta una costante in tutti i casi di immobilità o allettamento del paziente. Anche durante un breve ricovero la perdita di peso e massa muscolare ha conseguenze metaboliche rilevanti e drammatiche, se non trattate.
“Il 40-80% dei pazienti oncologici presenta qualche disturbo nutrizionale: scarso appetito, ridotto introito calorico, un insieme che produce una rapida e marcata perdita di peso” sottolinea il Professor Maurizio Muscaritoli, Presidente SINuC, “e secondo i dati epidemiologici solo l’8% dei casi di anoressia è di tipo mentale, il restante 92% conta patologie oncologiche per il 42%, malattie neurologiche per il 27% e cause varie nel 23% dei casi. Eppure di questo 92% nessuno parla”.
La sindrome anoressia-cachessia in oncologia è l’evoluzione di una forte anoressia a cui si aggiungono anche fattori ormonali (fattore proteolico, elevati livelli di serotonina cerebrale) che non solo non aiutano l’appetito del paziente, ma portano ad una perdita di massa muscolare e grassa. Eppure basterebbe uno screening seguito da un percorso nutrizionale per abbassare la percentuale di malati (25%) che non supera la malattia oncologica per le cause nutrizionali.
Interessa anche i pazienti affetti da malattie renali: la prevalenza nelle fasi precedenti alla dialisi va dal 20 all’80% mentre durante la dialisi va dal 23 al 73%, così come è stato sottolineato nella relazione del Professor Alessio Molfino dell’Università “La Sapienza” di Roma, specialista in Medicina Interna, al recente congresso Cardionefrology 2019.
L’insieme di malnutrizione, infiammazione ed ipercatabolismo (ossia l’anomala accelerazione dei processi catabolici) ha effetto a cascata con aumento delle ospedalizzazioni, mortalità e scadimento della qualità della vita. Il sistema di regolazione dell’appetito dipende da una complessa interazione di ormoni (ad es. leptina, prodotta prevalentemente dal tessuto adiposo), insulina, ghrelina e colecistochinina che raggiungono il cervello. La leptina in particolare è una proteina plasmatica sintetizzata nelle cellule adipose, si pensa possa rappresentare un marker di rischio nutrizionale e cardiovascolare nei pazienti in dialisi peritoneale. C’è poi una stretta correlazione tra citochine pro-infiammatorie, sistema nervoso e perdita di appetito. L’anoressia, la malnutrizione proteica e la perdita di massa muscolare sono direttamente correlate ad un aumento del rischio di infezioni, patologie cardiovascolari, fragilità e sintomi depressivi.
Come verificare una condizione di anoressia? “Generalmente è possibile usare questionari validati che indagano sazietà, alterazione del gusto e dell’olfatto, avversione al gusto della carne, nausea, vomito” spiega il Professor Molfino che aggiunge: “La strategia di intervento nutrizionale nel paziente oncologico implica una adeguata valutazione iniziale mediante screening che definisca la gravità della malnutrizione. In funzione del grado di malnutrizione il paziente entrerà in un percorso diagnostico terapeutico specifico nutrizionale”.
Per lo screening si utilizzano MUST, PG-SGA, SGA che sono scale di valutazione utili fin dall’esordio della malattia oncologica, come primo metodo di screening nutrizionale e poi come metodo per la valutazione effetti della terapia nutrizionale. Mentre la scala a punteggio NRS (Nutritional Risk Screening) è di semplice uso e ha dimostrato di essere affidabile. Una valutazione è anche quella sulla qualità di vita che è sicuramente influenzata dal peso corporeo, la perdita di peso massiva può portare a depressione, astenia, fatigue ed ansia con conseguente e ulteriore diminuzione dell’appetito e dell’intake calorico.
“All’estero – dice Maurizio Muscaritoli – il dietary counselling [un servizio di consulenza nutrizionale, N.d.R.], ha mostrato effetti tangibili sulla qualità della vita dell’ammalato: il semplice follow up di un paziente al quale viene consigliato come nutrirsi è più efficace della somministrazione degli integratori”.