Le donne di mezza età o di età avanzata che fanno uso di antibiotici a lungo termine hanno un rischio più elevato di eventi cardiovascolari secondo una nuova ricerca
Le donne di mezza età o di età avanzata che fanno uso di antibiotici a lungo termine hanno un rischio più elevato di eventi cardiovascolare (CVD). Lo suggerisce una nuova ricerca pubblicata online sull’European Heart Journal.
I ricercatori hanno seguito strettamente, per un periodo di 8 anni, quasi 36.500 partecipanti di sesso femminile del Nurses’ Health Study (NSH) che erano libere da CVD al basale. Dopo aggiustamento per le covariate demografiche, di stili di vita, mediche e legate ai farmaci, hanno scoperto che le donne di 60 anni o più che assumevano antibiotici per 2 o più mesi avevano il più alto rischio di CVD, ma l’uso a lungo termine di antibiotici era anche associato a un aumentato rischio CVD se effettuato da donne di mezza età (40-59 anni).
«Questa nuova analisi dell’NHS dimostra che le donne che assumono antibiotici per lunghi periodi, specialmente nell’età medio-adulta o più tardiva, hanno un rischio più elevato di CVD in età avanzata» scrivono gli autori, coordinati da Lu Qi, direttore del Tulane University Obesity Research Center, presso la Tulane University di New Orleans.
«Il ‘take-home message’ è che una maggiore durata dell’uso di antibiotici può essere collegata a un più alto rischio di CVD tra le donne» ha ribadito Qi, che è anche professore di Nutrizione presso la Harvard T.C. Chan School of Public Health di Boston.
Primo studio longitudinale su un fenomeno già osservato
Diverse linee di ricerca hanno collegato l’uso di antibiotici a problemi cardiaci – scrivono gli autori – tra cui aritmie (per esempio, prolungamento dell’intervallo QT, torsione di punta e morte cardiaca improvvisa), in particolare tra pazienti con cardiopatia preesistente, come malattia coronarica (CHD), malattie delle arterie periferiche (PAD), infezioni o polmonite.
Tuttavia, rilevano, «nessuno studio longitudinale ha studiato le associazioni tra la durata dell’uso di antibiotici in diverse fasi dell’età adulta (giovanili, medie e tardive) con l’incidenza di CVD in una popolazione a rischio normale».
«Dati in crescita suggeriscono che l’esposizione agli antibiotici è associata a una alterazione a lungo termine del microbiota intestinale, che è stata correlata alla CVD (per l’infiammazione e il restringimento dei vasi sanguigni e l’ictus)» spiegano Qi e colleghi.
Per studiare la potenziale associazione tra uso di antibiotici e CVD, i ricercatori hanno tratto dati dall’NHS, che contiene informazioni dettagliate sull’uso cumulativo di antibiotici durante l’età adulta.
L’NHS è uno studio di coorte in corso iniziato nel 1976, basato su 121.701 infermiere registrate tra i 30 e i 55 anni di età, seguite ogni 2 anni. I dati dello studio includono un’ampia gamma di informazioni su fattori demografici, stile di vita, anamnesi medica e stato patologico.
Per l’analisi corrente, l’anno di riferimento è stato fissato nel 2004, in cui erano disponibili informazioni sull’uso degli antibiotici per 90.853 donne. Dopo aver escluso le partecipanti che non soddisfacevano i criteri o che non avevano informazioni sufficienti, i ricercatori hanno incluso 36.469 donne nell’analisi, le quali dovevano essere libere da CVD e cancro all’arruolamento.
Queste ultime sono state raggruppate per età (20-39, 40-59 e 60+ anni) e per durata dell’uso di antibiotici (nessuno, 2 mesi). Per “a lungo termine” si è inteso “uso di antibiotici per almeno 2 mesi”. I ricercatori hanno calcolato anni-persona di follow-up dalla data di ritorno del questionario del 2004 fino alla data della diagnosi di CVD, della data di morte o della fine del follow-up (30 giugno 2012), a seconda di quale si verificava prima.
C’erano due modelli usati per l’analisi della sensibilità. Nella prima, le covariate includevano la ragione per l’uso di antibiotici e i tradizionali fattori di rischio per CVD (dati demografici, dieta, stile di vita e indice di massa corporea [BMI]).
Ulteriori covariate utilizzate nel modello 2 includevano altri fattori di rischio metabolici (ipercolesterolemia, ipertensione e diabete), nonché l’uso di farmaci (aspirina [ASA], farmaci anti-infiammatori non steroidei [FANS], inibitori della COX-2, calcio-antagonisti, statine, H2-bloccanti, inibitori della pompa protonica e steroidi).
Tutti i risultati, in dettaglio
Le donne con una più lunga durata d’uso di antibiotici avevano più probabilità di avere profili di rischio CV “sfavorevoli”, tra cui anamnesi positiva per infarto miocardico, BMI più elevato o anomalie metaboliche come ipertensione, ipercolesterolemia e diabete. Inoltre, avevano maggiore propensione a usare altri farmaci.
L’infezione respiratoria era l’indicazione più comune per gli antibiotici, ma anche le infezioni del tratto urinario e le indicazioni dentali erano comuni. Durante la mezza età e la giovane età adulta, le caratteristiche dei partecipanti erano simili in termini di categorie di utilizzo.
Durante i 276,409 anni-persona di follow-up (in media, 7,6 [DS, 1,0] anni), 1.056 partecipanti hanno sviluppato CVD. Una maggiore durata dell’esposizione agli antibiotici nella tarda e media età adulta (P trend = 0,03 e P trend = 0,001, rispettivamente) era significativamente associato a un più alto rischio di CVD in modelli aggiustati per età.
L’associazione è rimasta significativa nella tarda e media età adulta, anche dopo aggiustamento per le covariate nel modello 1 (P trend = 0,03 e P trend <0,001, rispettivamente).
Nel modello 1, rispetto alle donne non avevano usato antibiotici, quelle con un uso a lungo termine nella tarda o media età adulta avevano un rapporto di rischio (HR) aggiustato per CVD di 1,44 (IC al 95%: 1,13 – 1,85) o 1,39 (IC al 95%: 1,04 – 1,85), rispettivamente. Dopo l’aggiustamento aggiuntivo per le covariate incluse nel modello 2, l’uso di antibiotici a lungo termine in tarda età adulta era significativamente associato a un aumentato rischio di CVD (HR: 1,32; IC al 95%: 1,03 – 1,70).
Ancora una volta, usando le covariate del modello 2, le partecipanti con un uso a lungo termine di antibiotici nella mezza età adulta hanno fatto registrare un HR aggiustato di 1,28 (IC al 95%: 0,95 – 1,70) per CVD (P trend = 0,003). Al contrario, l’uso di antibiotici in giovane età adulta non era significativamente associato con l’incidenza di CVD – risultati che sono rimasti simili quando l’analisi di sensibilità è stata eseguita escludendo le donne con una storia di malattie maggiori prima del basale (2004).
Quando gli outcome di ictus e CHD sono stati esaminati separatamente, i ricercatori hanno scoperto che le donne che avevano usato gli antibiotici per meno di 15 giorni (HR: 1,56; IC al 95%: 1,03 – 2,34) o da 15 giorni a meno di 2 mesi (HR: 1,65; IC al 95%: 1,07 – 2,55) durante la mezza età adulta hanno mostrato un aumento del rischio di CHD, rispetto a quelle che non avevano usato antibiotici in questo periodo di tempo.
I rischi per l’esposizione totale agli antibiotici per ictus e CHD sono stati valutati sulla base della somma dei giorni medi di utilizzo di antibiotici dopo i 40 anni.
Sebbene non sia stata trovata alcuna associazione con l’ictus, è stata trovata un’associazione per CHD: rispetto alle non utilizzatrici, le donne che avevano fatto ricorso ad antibiotici per una media di 15 giorni a meno di 2 mesi e una media di almeno 2 mesi avevano un HR rettificato di 2,30 (IC al 95%: 1,21 – 4,38) e 2,00 (IC al 95%: 1,05 – 3,79), rispettivamente.
Il potenziale influsso delle alterazioni del microbiota intestinale
L’alterazione indotta dall’uso di antibiotici nel microbiota intestinale può parzialmente contribuire all’aumento del rischio di CVD» commentano Qi e colleghi. «Inoltre, studi precedenti suggeriscono anche che l’uso di antibiotici può essere correlato a cambiamenti relativi a lipidi, infiammazione e aumento di peso, che possono anche influenzare il rischio cardiovascolare».
Gli autori sottolineano che lo studio, per il suo disegno osservazionale, non può dimostrare in modo definitivo che gli antibiotici causano CVD, ma solo che esiste un’associazione. Inoltre, proseguono, è possibile che le donne che hanno segnalato l’uso di antibiotici «potessero essere più ‘malate’ in altri modi che non si è stati in grado di misurare, oppure potrebbero esserci altri fattori capaci di influenzare i risultati dei quali non abbiamo tenuto conto».
Tuttavia, «il nostro studio suggerisce che gli antibiotici dovrebbero essere usati solo quando sono assolutamente necessari» e, «considerando gli effetti avversi potenzialmente cumulativi, i minor tempo di uso di antibiotici, meglio è» concludono.