Pg della Cassazione: “Confermare condanna per Bossi e Belsito e sequestrare i 49 milioni alla Lega”. Fondi pubblici spesi in maniera indebita e rendicontazioni false
La conferma delle condanne a Umberto Bossi e Francesco Belsito e la conseguente confisca dei 49 milioni di fondi ingiustamente percepiti dalla Lega Nord. E’ la richiesta del sostituto pg della Corte di Cassazione, Marco Dall’Olio, nella requisitoria del processo di ultimo grado che vede imputati l’ex leader del Carroccio e l’ex tesoriere del partito, condannati in appello per truffa i danni dello Stato rispettivamente a due anni e sei mesi e quattro anni e dieci mesi per rimborsi elettorali utilizzati per fini illegittimi grazie alla falsificazione dei bilanci dal 2008 al 2010.
Il magistrato, riferisce l’Agenzia Dire (www.dire.it) ha chiesto al collegio della sesta sezione che vengano dichiarati “inammissibili” i ricorsi di Bossi e Belsito, che venga disposto un nuovo processo in appello per gli ex revisori dei conti della Lega Nord (anche se questo comporterà una prescrizione del reato) e per Belsito la declaratoria dall’interdizione dei pubblici uffici per cinque anni, perché non riportata nella sentenza di appello.
PG CASSAZIONE: INDUBBIE SPESE PER FAMIGLIA BOSSI SENZA AUTORIZZAZIONE
“Non vi è dubbio che le spese per la famiglia Bossi siano avvenute senza autorizzazione”. Lo ha detto il sostituto pg della Cassazione, Marco Dall’Olio, nella requisitoria del processo che che vede imputati l’ex leader del Carroccio, Umberto Bossi, e l’ex tesoriere del partito, Francesco Belsito, condannati in appello per truffa i danni dello Stato rispettivamente a due anni e sei mesi e quattro anni e dieci mesi per rimborsi elettorali utilizzati per fini illegittimi grazie alla falsificazione dei bilanci dal 2008 al 2010.
“Non è vero che rendiconti erano generici ma non falsi- ha aggiunto il sostituto pg- Ad esempio ci sono i rimborsi agli autisti mentre i soldi venivano usati per pagare le spese della famiglia del segretario (Bossi, ndr), poi c’è un accredito riferibile all’acquisto della laurea per Renzo Bossi”. Quindi Dall’Olio ha ricordato anche una “cartellina con la scritta ‘family’”.
Insomma, per il magistrato dell’accusa si è trattato di “un sistema artatamente più complesso e sofisticato” finalizzato “alla truffa. Sul punto non ho dubbi. La truffa si configura simulando una trasparenza senza la quale le somme non si sarebbero potute ottenere. Le falsificazioni non erano finalizzate ad occultare al partito le condotte appropriative ma ad ottenere il finanziamento”.