Ictus: nel trattamento la carbossiemoglobina pegilata potrebbe evitare danni cerebrali prima della rimozione del coagulo secondo un nuovo studio
Nell’ictus il fattore tempo è tutto. Nell’attesa che si prepari la sala operatoria e il paziente venga sottoposto alla rimozione meccanica del coagulo, la ricerca è al lavoro per cercare di limitare i danni a livello cerebrale. Un modo per guadagnare tempo prezioso nell’attesa dell’intervento potrebbe essere la somministrazione dell’emoglobina pegilata. Esperimenti in modello animale hanno dimostrato che l’utilizzo di questa molecola è in grado di diminuire significativamente i danni in seguito ad ictus. Risultati talmente incoraggianti che nei prossimi mesi prenderà il via la prima sperimentazionenell’uomo. E’ questa una delle novità annunciate durante il congresso ESOC (European Stroke Organisation Conference), il principale appuntamento europeo dedicato agli ictus, organizzato quest’anno a Milano.
L’ictus ischemico si verifica quando le arterie che garantiscono il corretto flusso di sangue al cervello sono ostruite per la presenza di un coagulo. Come per l’infarto del miocardio, dove sono le coronarie ad essere ostruite, le aree a valle del blocco che non possono essere sufficientemente irrorate vanno incontro a morte. Rimuovere il coagulo è fondamentale per evitare danni e, nei casi più gravi, il decesso del paziente.
Se l’ictus è causato da un coagulo di piccole dimensioni la somministrazione di molecole in grado di sciogliere il trombo è sufficiente a ristabilire il corretto flusso di sangue. Quando invece l’ostruzione riguarda i grandi vasi allora si rende necessario un intervento endovascolare.
Quest’ultimo approccio -noto con il nome di trombectomia meccanica– consiste nell’inserzione di una rete a livello dell’arteria ostruita. In questo modo il chirurgo endovascolare rimuove il trombo responsabile dell’ictus ripristinando così la normale circolazione cerebrale. Un approccio che ha rivoluzionato il trattamento degli ictus negli ultimi 7-8 anni.
Intervenire il prima possibile fa davvero la differenza: in questo modo la sopravvivenza aumenta, le disabilità associate all’evento diminuiscono e i tempi di recupero si accorciano. Ciononostante se in alcuni casi è necessario intervenire entro 5-6 ore dall’esordio dei sintomi, in altri il tempo è notevolmente più lungo. La differenza è in quello che gli addetti ai lavori chiamano “circolo collaterale”. Quando si verifica un’ostruzione il tessuto adiacente può comunque continuare a vivere grazie al flusso di sangue che arriva dai vasi che circostanti. La velocità di estensione del danno dipende proprio da questo “circolo”. Quando si è in presenza di un buon circolo collaterale significa che il danno da ischemia progredisce molto lentamente e si ha più tempo per intervenire.
Migliorare dunque il circolo collaterale può ridurre notevolmente il danno in quei pazienti con una finestra di intervento ridotta. Una possibile soluzione è l’utilizzo della carbossiemoglobina pegilata, una molecola che somministrata immediatamente dopo la diagnosi di ictus dovuto all’ostruzione dei grossi vasi si è dimostrata efficace nel migliorare il circolo collaterale e limitare il danno cerebrale in modelli di ischemia sperimentale. il composto ha innanzitutto la caratteristica di trasportare ossigeno laddove è carente. Non solo, si tratta di un “plasma expander” simile ai cristalloidi, ovvero farmaci usati nello shock cardiocircolatorio per impedire che i vasi sanguigni collassino.
L’ultima caratteristica è quella di trasportare monossido di carbonio, molecola che a basso dosaggio è un potente vasodilatatore organico. Tre vantaggi in un’unica somministrazione che consentirebbero di guadagnare tempo prezioso in attesa dell’intervento di rimozione del coagulo. Ora, come annunciato durante il congresso ESOC, si attende il via libera dell’FDA per la sperimentazione nell’uomo. A coordinare i lavori sarà il dottor Italo Linfante, direttore del dipartimento di neurochirurgia vascolare presso il Baptist Cardiac and Vascular Institute di Miami.