Tumore del pancreas: nuovo studio dell’Istituto nazionale tumori Regina Elena (Ire) ha individuato una nuova terapia mirata
Quello del pancreas resta un tumore tra i più aggressivi, con un tasso di sopravvivenza a 5 anni dell’8%. Ora un nuovo studio dell’Istituto nazionale tumori Regina Elena (Ire), pubblicato su ‘Cancer Research’, ha identificato, a livello preclinico, una nuova terapia mirata per un sottogruppo di pazienti affetti da tumore del pancreas con marcata dipendenza dall’oncogene K-Ras. Il lavoro, condotto dal gruppo di ricerca guidato da Luca Cardone dell’Unità di Immunologia e immunoterapia Ire, ha mostrato che la decitabina – farmaco già in uso clinico per altre neoplasie – ha una potente azione antitumorale mirata per i tumori del pancreas con specifiche caratteristiche.
Il tumore del pancreas ha un tasso di mortalità in aumento rispetto ad altri tumori che hanno un trend stabile o in miglioramento. Non è possibile fare diagnosi precoce, è un tumore aggressivo e, tra le terapie, l’opzione chirurgica non sempre è praticabile, mentre i chemioterapici disponibili offrono risposte terapeutiche limitate. Molti i fattori di rischio associati a questa neoplasia, come ad esempio il fumo, ma, tra le cause genetiche, l’oncogene K-Ras ha un ruolo chiave nella sua formazione e progressione.
“Il nostro studio – illustra Cardone – ha permesso di identificare e validare, a livello preclinico, una nuova terapia mirata per un sottogruppo di pazienti con tumore del pancreas dipendente dall’oncogene K-Ras. Circa il 95% dei tumori pancreatici sono mutati geneticamente per il gene K-Ras, ma è possibile distinguere due sottogruppi di pazienti: quelli che hanno una reale dipendenza molecolare da K-Ras e quelli che, pur avendo la mutazione genica, non ne sono più dipendenti. La dipendenza si può misurare grazie a dei marcatori molecolari basati sull’espressione di centinaia di geni che abbiamo usato per interrogare, mediante algoritmi computazionali, banche dati relative agli effetti molecolari di farmaci già in uso clinico”.
Questo approccio “ha consentito di identificare il farmaco decitabina, utilizzato per il trattamento di altre neoplasie, come un potenziale inibitore di questa caratteristica dipendenza molecolare e, quindi, delle funzioni dell’oncogene K-Ras”. Attraverso un approccio multidisciplinare, con l’utilizzo di modelli sperimentali e calcoli biocomputazionali, i ricercatori hanno quindi dimostrato che i tumori pancreatici con alta dipendenza molecolare per K-Ras hanno un’alta sensibilità al trattamento con la decitabina, mentre tumori indipendenti da K-Ras sono quasi 100 volte meno sensibili o completamente resistenti. Il farmaco si è dimostrato anche capace di arrestare la progressione metastatica della malattia in modelli sperimentali di tumori pancreatici K-Ras dipendenti.
Da una stima effettuata su database di tumori pancreatici disponibili, si calcola che “una percentuale che va dal 30% fino al 50% dei casi di tumori pancreatici ha una dipendenza molecolare da K-Ras, che dunque può potenzialmente rispondere al trattamento farmacologico con la decitabina”, dicono i ricercatori.
Grazie a questo studio preclinico, si potranno ora avviare studi clinici con la decitabina come singolo trattamento o in combinazione, individuando e selezionando i pazienti con alta probabilità di risposta per confermare l’efficacia del trattamento.
“Questo studio – sottolinea Francesco Ripa di Meana, direttore generale Ifo – rappresenta il forte orientamento dell’Ifo alla ricerca traslazionale e all’attenzione alla diagnosi di mutazioni geniche. L’utilizzo di farmaci già noti per terapie sempre più mirate rappresenta un’innovazione nella sanità pubblica che riduce costi e tempi. Investire nella ‘Drug repurposing’ in oncologia è un’opportunità potenziata oggi dall’utilizzo di big data e intelligenza artificiale”.
Il lavoro, concludono gli scienziati, si è svolto in collaborazione con gruppi di ricerca del The University of Texas- MD Anderson Cancer Center, Houston, Texas-Usa, del Telethon Institute of Genetic and Medicine (Tigem) di Napoli e del Dipartimento di Medicina e Scienze dell’invecchiamento dell’Università G. D’Annunzio di Chieti.