Artrite reumatoide, il trattamento endovena con golimumab efficace anche nei pazienti ultra65enni. Lo dimostrano i risultati di uno studio pubblicato su Arthritis Research & Therapy
Il trattamento endovena con golimumab, in combinazione con MTX rappresenta un’opzione efficace di trattamento anche nei pazienti con artrite reumatoide ultra65enni, come documentato già ampiamente nei pazienti più giovani. Lo dimostrano i risultati di uno studio di recente pubblicazione su Arthritis Research & Therapy. Cresce leggermente, tuttavia, l’incidenza di infezioni serie nei pazienti più anziani rispetto a quelli più giovani (di qui il consiglio a limitarne l’impiego in presenza di trattamento immunosoppressivo concomitante – es: corticosteroidi).
I limiti dei pazienti rappresentati nei trial clinici registrativi
Una caratteristica (purtroppo) comune di tutti i trial clinici registrativi relativi all’impiego di farmaci è quella dell’esistenza di un bias legato alla selezione di pazienti più giovani, che rende spesso difficile fare inferenze sull’efficacia e la sicurezza di un trattamento nei pazienti più anziani. A questa “regola” non sfuggono, purtroppo, neanche i trial clinici esistenti sull’artrite reumatoide (AR), caratterizzati da un numero ridotto di dati disponibili sul profilo rischio-beneficio del farmaco oggetto di studio nei pazienti in età più avanzata.
Golimumab è un anticorpo monoclonale totalmente umanizzato anti-TNF, disponibile sia in iniezione sottocutanea che come infusione endovena. Il profilo di safety del farmaco è stato determinato in trial che hanno impiegato golimumab sottocute in pazienti con AR, PsA, SA e colite ulcerosa e da trial che hanno impiegato il farmaco in pazienti con AR, PsA e SA.
Per quanto nei trial clinici di fase 3 e negli studi di sorveglianza post-markering di fase 4 la proporzione di pazienti con eventi avversi seri registrati a seguito del trattamento con golimumab sottocute o endovena sia stata molto ridotta, ancora oggi no esistono molti dati sulla sicurezza di golimumab (come di altri farmaci anti-TNF) nei pazienti ultra65enni.
GO-FURTHER è uno degli studi registrativi di fase 3 sull’impiego di golimunab in infusione endovena (2 mg/Kg) che ha valutato il farmaco anti-TNF in pazienti con AR attiva, nonostante il trattamento con MTX. Gli eventi avversi documentati in questo trial si erano dimostrati simili a quelli rilevati con la formulazione sottocute del farmaco in altri trial in pazienti con AR, PsA e SA.
E’ stato scelto questo studio come punto di partenza per un’analisi comparativa post-hoc della efficacia e della sicurezza del farmaco anti-TNF in formulazione endovena (in combinazione con MTX) in pazienti di età inferiore e superiore a 65 anni in quanto questo trial era quello che aveva, rispetto agli altri, la proporzione più ampia di pazienti anziani.
Lo studio
Nello studio GO-FURTHER erano stati inizialmente reclutati 592 pazienti, provenienti da 92 centri specialistici dislocati in 13 paesi diversi, per essere randomizzati al trattamento con 2 mg/kg di golimumab endovena (e MTX) o con placebo (e MTX) all’inizio del periodo di osservazione, dopo un mese e poi a cadenza bimestrale.
Il protocollo dello studio prevedeva il crossover a golimumab a 16 oppure a 24 settimane dall’inizio del trattamento assegnato, mentre l’infusione finale di golimumab era prevista a 100 settimane dall’avvio del trial.
Sul totale dei pazienti reclutati, 395 erano stati randomizzati a trattamento con golimumab e 197 a placebo. Inoltre, 515 pazienti avevano un’età inferiore a 65 anni, mentre 77 avevano un’età pari o superiore a 65 anni.
Nell’analisi post-hoc in questione, i ricercatori hanno effettuato una valutazione dell’efficacia del trattamento, utilizzando le risposte ACR20/50/70. Quanto alla safety, invece, hanno monitorato il numero di eventi avversi registrati nel corso del biennio di osservazione previsto dal trial.
Passando ai risultati, la proporzione di pazienti con raggiungimento della risposta ACR20 a 24 settimane è risultata maggiore nel gruppo golimumab (61,6% vs. 31,3%) nei pazienti più giovani (p<0,001).
In quelli di età uguale o superiore a 65 anni, il trend di pazienti con risposta ACR20 è risultato sovrapponibile a quello dei pazienti più giovani (69,5% vs. 33,3%) (p<0,01).
Eventi avversi leggermente superiori nel gruppo trattato con golimumab
Considerando i dati di safety, sono stati registrati eventi avversi seri nel 17,7% dei pazienti di età inferiore a 65 anni e nel 25% di quelli ultra65enni. Neoplasie, polmoniti, fratture, pancreatite acuta, celluliti e artriti batteriche sono stati gli eventi avversi documentati nell’analisi.
Nello specifico, le infezioni sono state la tipologia di evento avverso di più frequente riscontro (51,6% pazienti di età inferiore a 65 anni; 55,3% pazienti di età uguale o superiore a 65 anni). A spiccare sono state le infezioni a carico delle vie aeree respiratorie superiori (13,2% nnei pazienti di età inferiore a 65 anni; 11,8% in quelli di età uguale o superiore a 65 anni).
Le implicazioni
“I risultati di questa analisi dimostrano chiaramente che l’efficacia di golimumab nei pazienti ultra65enni – nonostante la limitata numerosità di pazienti – è paragonabile a quella osservata nei pazienti più giovani – scrivono i ricercatori nelle conclusioni del lavoro – suffragando la possibilità di trattare pazienti anziani con AR attiva, nonostante MTX, con le terapie avanzata a disposizione”.
Ciò premesso, però, i ricercatori invitano a leggere i risultati dello studio con prudenza. “Ricordando sempre – aggiungono – che il numero di pazienti ultra65enni dell’analisi post-hoc era molto limitato, va ricordato come in questo gruppo si sia avuto un tasso di eventi avversi seri (in particolare infezioni) più elevato rispetto ai pazienti più giovani”.
Non solo: “Il tasso di infezioni serie – commentano i ricercatori – è risultato più elevato nei pazienti in terapia con corticosteroidi – a suggerire il contributo negativo di questa classe farmaci al rischio infettivo”.
Sarebbe opportuno, pertanto, nella valutazione del paziente anziano candidabile a trattamento con golimumab, evitarne l’impiego in concomitanza al trattamento con steroidi.
“Pur tenendo conto del fatto che l’immunosenescenza, da sola, potrebbe contribuire all’innalzamento del rischio di infezioni serie in questo gruppo di pazienti – concludono – i risultati suggeriscono cautela quando si ricorre a terapie immunosoppressive in popolazioni suscettibili, come gli anziani”.