Embolia polmonare acuta. Come cambia la gestione nelle nuove linee guida dopo l’aggiornamento della European Society of Cardiology
La European Society of Cardiology (ESC) ha presentato a Parigi, nel corso del recente Congresso 2019, le linee guida aggiornate per la gestione dei pazienti con embolia polmonare (EP) acuta, fornendo revisioni e chiarimenti riguardo le raccomandazioni a partire dalla diagnosi fino alla gestione cronica e alle conseguenze lungo termine. Le linee guida sono state pubblicate in contemporanea sull’European Heart Journal.
L’ultimo aggiornamento del 2014 era stato caratterizzato dagli importanti cambiamenti nel trattamento dovuti alla comparsa degli anticoagulanti orali diretti (DOAC). Anche se non si è verificata una simile “rivoluzione” nel portare all’attuale revisione dell’orientamento, ci sono stati molti aspetti della malattia che hanno richiesto ‘aggiustamenti’, ha affermato Stavros Konstantinides, dell’Università Johannes Gutenberg di Magonza (Germania), direttore del gruppo di stesura del documento.
«Da un lato, abbiamo dovuto fornire una guida chiara sull’estensione dell’anticoagulazione dopo l’EP, dall’altro abbiamo dovuto analizzare specifici gruppi di pazienti vulnerabili, le donne in gravidanza e anche i pazienti con tromboembolismo venoso e cancro» ha spiegato Konstantinides. Ha aggiunto che ora esiste un algoritmo che spiega come seguire i pazienti dopo EP che include una strategia per valutare il rischio di sequele a lungo termine come l’ipertensione polmonare tromboembolica cronica (CTEPH).
Le principali aree di intervento
In particolare, Konstantinides ha elencato i punti principali in cui le linee guida 2019 sono state modificate o dove sono stati introdotti nuovi concetti:
- instabilità emodinamica ed EP ad alto rischio
- algoritmi diagnostici adattati in base al rischio
- nuove raccomandazioni relative alla diagnosi
- importanza prognostica della disfunzione ventricolare destra
- algoritmo di gestione integrato
- indicazioni per un trattamento esteso dopo EP acuta
- EP associata a cancro
- diagnosi e gestione di EP in gravidanza
- follow-up a lungo termine e ricerca per le sequele a lungo termine
La flow-chart da seguire in caso di sospetto diagnostico
Uno dei punti più rilevanti è l’algoritmo diagnostico per sospetta EP ad alto rischio «che si pone in un paziente con instabilità emodinamica mediante ecocardiografia transtoracica al letto del paziente» ha specificato Konstantinides. Sulla base del riscontro di una disfunzione ventricolare destra se possibile si effettua un’angiografia polmonare TAC (CTPA) e, in caso di positività o in assenza di disponibilità di questo esame, si tratta il paziente per EP ad alto rischio.
Lo stesso tipo di esame è raccomandato in caso di pazienti senza instabilità emodinamica se ad alta probabilità di EP. In caso di bassa o intermedia probabilità si può procedere al test del D-dimero. Nel complesso, sono state introdotte circa 5 nuove raccomandazioni che, in generale, si soffermano sulla rilevanza di utilizzare vari metodi di risk assessment (biomarcatori, punteggi clinici, imaging) per validare il sospetto diagnostico in modo graduale alla forza stessa del sospetto.
Quanto deve durare l’anticoagulazione
Quanto tempo trattare i pazienti con anticoagulanti? La risposta a questa domanda è stata l’argomento che ha maggiormente impegnato gli autori durante lo sviluppo di queste linee guida.
Con le più recenti raccomandazioni, la maggior parte dei pazienti dovrebbe essere presa in considerazione almeno per un’anticoagulazione a lungo termine, indefinita e prolungata dopo una EP acuta, ha detto Konstantinides.
«Fino ad ora, dicevamo generalmente di trattare per almeno 3 mesi e poi si decideva, ma nessuno sapeva esattamente cosa ciò significasse» ha affermato il coordinatore delle linee guida.
«Ma ora abbiamo stabilito che ci sono alcune categorie – come, per esempio, i pazienti con malattia in corso – dove si raccomanda di continuare l’anticoagulazione» ha proseguito. Nei pazienti senza fattore di rischio identificabile per l’evento indice, o solo con fattori di rischio minori che potrebbero o non potrebbero essere stati la causa dell’EP acuta, ha aggiunto, «diciamo che si dovrebbe considerare di continuare perché anche il loro rischio di recidiva è piuttosto elevato».
Per i pazienti che ricevono un’anticoagulazione prolungata, secondo una raccomandazione di classe I tolleranza e aderenza ai farmaci, funzionalità epatica e renale e rischio di sanguinamento dovrebbero essere rivalutati a intervalli regolari.
Da notare che, per la prima volta, con una raccomandazione di classe I, i DOAC sono raccomandati rispetto agli antagonisti della vitamina K quando i pazienti sono eleggibili per il trattamento con i nuovi agenti, rispecchiando le linee guida riguardanti la gestione dei pazienti con fibrillazione atriale (AF). Tuttavia, esiste una raccomandazione di classe III contro l’uso dei DOAC durante la gravidanza o l’allattamento (condizione clinica per la cui gestione è specificato un apposito algoritmo).
Inoltre, le nuove linee guida specificano la necessità di un trattamento indefinito con un anticoagulante VKA in pazienti senza cancro e con sindrome da anticorpi antifosfolipidi (classe I). È invece previsto l’uso di edoxaban o rivaroxaban in alternativa all’eparina a basso peso molecolare nei pazienti con EP con cancro, a eccezione dei casi di cancro gastrointestinale.
Dimissione anticipata e trattamento domiciliare
Il documento del 2019 prende anche una posizione più ferma circa la dimissione precoce e il trattamento domiciliare dopo EP acuta. Esiste una nuova raccomandazione di classe IIa (livello di evidenza A) che afferma che i pazienti attentamente selezionati e a basso rischio devono essere presi in considerazione per dimissione precoce e trattamento domiciliare, purché siano possibili adeguate cure ambulatoriali e un trattamento anticoagulante.
«In Nord America, questo è qualcosa che viene fatto in modo più estensivo e molte persone con EP vengono dimesse, ovviamente durante il trattamento, e non esiste una soglia così alta per dimettere questi pazienti» ha affermato Konstantinides. In Europa, non tutti i paesi hanno lo stesso sistema sanitario, ha osservato, «quindi non è solo una decisione medica, è anche una decisione politica a volte, in passato siamo stati un po’ più attenti, più prudenti».
«Ma ora abbiamo nuovi dati, recenti studi appena pubblicati sull’European Heart Journal, e diciamo che se il paziente ha un basso rischio – ovviamente in base a criteri definiti – occorre considerare le dimissioni precoci e il trattamento domiciliare. Il nostro obiettivo è ridurre il ricovero in ospedale per questi pazienti, che in Europa è in molti paesi fino a 8 o 10 giorni».
Il follow-up e la gestione delle sequele
Importanti nuove raccomandazioni di classe I riguardano le cure post-EP, ha proseguito Guy Meyer, del Dipartimento di Medicina Respiratoria dell’Ospedale Europeo Georges Pompidou di Parigi. Innanzitutto, ha specificato, si stabilisce che una valutazione clinica routinaria è raccomandata da 3 a 6 mesi dopo l’EP acuta. «Si consiglia inoltre un modello di cura integrato per ottimizzare la transizione da cure ospedaliere ad ambulatoriali» ha aggiunto Meyer.
Più in dettaglio, l’algoritmo del work-up per le sequele a lungo termine prevede un follow-up a 3-6 mesi e, in caso di riscontro di dispnea o limitazione funzionale, tramite ecocardiografia transtoracica, la verifica della presenza di fattori di rischio per ipertensione polmonare (di grado basso, intermedio o alto) o CTEPH. In quest’ultimo caso occorre inviare il paziente a un centro specializzato per accertamenti ulteriori. In assenza di fattori di rischio di CTEPH ci si deve focalizzare sull’anticoagulazione e sulla profilassi secondaria.
L’adozione del modello statunitense PERT
L’aggiornamento contiene anche un cenno verso l’emergere di team di risposta EP (PERT) negli Stati Uniti. Esiste una nuova raccomandazione di classe IIa (livello di evidenza C) che afferma che tale gruppo dovrebbe essere preso in considerazione per la gestione di pazienti ad alto rischio e selezionati a rischio intermedio a seconda delle capacità di ciascun ospedale. I PERT «rispondono alle esigenze dell’assistenza sanitaria basata su sistemi moderni» affermano gli autori delle linee guida.
Un PERT riunisce un team di specialisti di diverse discipline tra cui, per esempio, cardiologia, pneumologia, ematologia, medicina vascolare, anestesia/terapia intensiva, chirurgia cardiotoracica e radiologia interventistica. «Il team si riunisce in tempo reale (faccia a faccia o tramite conferenza Web) per migliorare il processo decisionale clinico» continuano.
«Ciò consente la formulazione di un piano di trattamento e ne facilita l’immediata attuazione. L’esatta composizione e modalità operativa di un PERT non sono fisse, a seconda delle risorse e delle competenze disponibili in ciascun ospedale per la gestione della PE acuta» spiegano.
Impostazione user-friendly
Konstantinides ha affermato che il documento sulle linee guida è stato rivisto per renderlo più user-friendly, eliminando alcune tabelle – che ha definito “generalmente noiose” – e aggiungendo figure e algoritmi semplificati, esteticamente più gradevoli.
L’app per smartphone di accompagnamento per le linee guida ESC include anche strumenti interattivi per facilitare l’uso delle raccomandazioni nella pratica quotidiana, ha aggiunto. Nei giorni successivi alla pubblicazione delle linee guida, il feedback dei medici è stato in gran parte positivo, ha riferito Konstantinides, aggiungendo che è fiducioso che la guida acuta sull’EP continuerà a essere uno dei documenti più consultati dai documenti ESC.