Oggi è la giornata mondiale dedicata all’Alzheimer. Ancora non c’è una cura efficace, ma si punta sulla diagnosi precoce
Oggi nel mondo sono 35 milioni le persone che soffrono di malattia di Alzheimer, una condizione neurodegenerativa progressiva che colpisce sopra i 65 anni e le donne più degli uomini, causando deficit della memoria con importanti conseguenze sulla vita quotidiana. L’invecchiamento della popolazione fa stimare un significativo incremento della prevalenza della malattia a livello mondiale: si ritiene che nel 2050 saranno 100 milioni le persone colpite dalla malattia di Alzheimer.
«A oggi non abbiamo terapie efficaci per curare la malattia ma sappiamo che prima si diagnostica meglio si controlla, sia coi farmaci disponibili che con la riabilitazione cognitiva», spiega il professor Massimo Filippi, primario dell’Unità di Neurologia e direttore dell’Unità di ricerca in Neuroimaging quantitativo presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele, che aggiunge: «Quando una persona di età superiore ai 65 anni comincia ad accusare deficit della memoria dichiarativa esplicita, ovvero della memoria che ha a che fare coi ricordi personali, è opportuno rivolgersi al medico per accertamenti» .
La diagnosi di malattia di Alzheimer deve essere posta da specialisti neurologi dopo un’attenta valutazione. In primis devono essere somministrati test neuropsicologici appositamente disegnati per valutare tutte le funzioni cognitive e capire quali siano alterate e in che entità. A seguire, è opportuno eseguire un esame di risonanza magnetica cerebrale che permette di valutare l’eventuale presenza di atrofia soprattutto a carico del lobo temporale mediale. Un prelievo di liquor cerebrospinale permette di valutare la presenza di marcatori proteici tipici della malattia e indagini di tomografia a emissione di positroni possono da un lato mostrare un ipo-metabolismo cerebrale posteriore e dall’altro un accumulo di proteine anomale nel parenchima encefalico.
«Rispetto a 10 anni fa abbiamo fatto molti passi in avanti nella diagnosi precoce della malattia ma non siamo ancora riusciti a individuare una cura efficace, nonostante esistano diverse strategie per rallentare la progressione dei sintomi e ridurre il carico assistenziale che ne consegue. La ricerca sta esplorando diverse promettenti strategie per bloccare all’origine la formazione e la diffusione nel sistema nervoso centrale delle proteine alterate che caratterizzano la malattia di Alzheimer e, grazie a questo sforzo, ci aspettiamo interessanti novità negli anni a venire», conclude il professor Filippi.
La ricerca sulla diagnosi precoce è il focus dell’attività del gruppo di ricercatori guidato dal professor Massimo Filippi. A testimonianza di questo impegno, proprio oggi, la dott.ssa Federica Agosta, neurologa e ricercatrice dell’Unità di Neuroimaging quantitativo, ha ricevuto il 2019 European Grand Prix for Young Researcher – SCOR dalla Fondation pour la Recherche sur Alzheimer.