Parto cesareo per una donna su 3 in Italia, Campania “regina” con il 56,4% delle nascite per via chirurgica. In alcune regioni resiste la pratica del parto in casa (con dati minimi)
In Italia in media il 34% dei parti vengono effettuati con taglio cesareo, un ricorso definito “eccessivo” dal recente rapporto Cedap (Certificato di Assistenza al Parto) del ministero della Salute, che fa riferimento a dati del 2016. Questa tendenza si inasprisce se facciamo riferimento alle case di cura accreditate, che optano per il parto per via chirurgica quasi il 51% delle volte. Boom di cesarei, poi, quelli registrati nelle strutture private, che li effettuano addirittura nell’80,6% dei parti. Sul versante degli ospedali pubblici, invece, il parto cesareo viene scelto solo nel 31,7% dei casi.
Le donne italiane, però, lo preferiscono rispetto a quelle straniere, con percentuali del 35% e del 28%. La scelta del cesareo, inoltre, si distribuisce a macchia di leopardo. La regione dello stivale che lo sceglie meno è la Val D’Aosta, con percentuali che si attestano al 20%. Al Nord, in linea generale, non si sale a più del 31% della Liguria. Nel Centro, invece, si registra in media una leggera crescita.
Il cesareo, spiega l’Agenzia Dire (www.dire.it) viene effettuato nel 31,7% dei parti, con picchi in Lazio (37,9%) e in Molise (43,2%) – una tra le tre regioni che lo preferiscono in tutta Italia. Al Sud, a sorpresa, le percentuali tendono a salire, con la Calabria all’ultimo posto del Meridione(37%) e la Campania in testa all’Italia intera, con il 56,4% di parti svolti per via chirurgica. Si stima che il ricorso alla procreazione medicalmente assistita (Pma), infine, è di 1,93 volte su 100. La tecnica utilizzata in via preferenziale è la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell’utero.
IL PARTO È PUBBLICO, SOLO 10% RICORRE AL PRIVATO. MA RESISTE QUELLO IN CASA
L’89% dei parti in Italia è avvenuto in ospedali pubblici, contro il 10,5% di quelli effettuati nelle case di cura accreditate. Per le strutture completamente private, le percentuali invece sono irrilevanti: lo 0,1%. È solo la regione Lazio, infatti, che sfonda la soglia dello zero percentuale e sceglie le cliniche private per partorire nel 1,1% dei casi. Percentuale che sembra non contare, ma che assume peso se si considera che nessun’altra regione d’Italia oltrepassa lo 0,1%.
Curioso, poi, il permanere – anche se in misura minima – del tradizionale parto in casa, scelto nello 0,59% dei casi dalla Provincia Autonoma di Trento, nello 0,27% dal Veneto e nello 0,21 dalla Lombardia. Questo è quanto emerge dall’analisi operata dall’agenzia Dire sui dati relativi al recente rapporto Cedap (Certificato di Assistenza al Parto) del ministero della Salute, che fa riferimento ai numeri 2016. Le donne italiane, dunque, danno alla luce la loro prole soprattutto nelle strutture pubbliche, con differenze significative a livello regionale.
Al Sud la Campania è la regione che meno preferisce gli ospedali pubblici, scelti nel 57% dei casi, contro una Basilicata che vi si rivolge invece al 100%. Lo stesso accade al Centro, in Umbria, Molise, Abruzzo e Marche, dove solo il Lazio non va oltre il 90%, con la Toscana che sfiora il 99,9%. Al Nord, invece, raggiungono le tre cifre soltanto Liguria e Val D’Aosta.
La scelta di partorire in strutture accreditate va per la maggiore in Campania, che le predilige nel 43% dei casi e, a macchia di leopardo, il trend si estende – con percentuali tra l’8% e il 14% – dal Friuli alle isole. Quasi il 64% dei nuovi nati, poi, vedono la luce in strutture che sfondano il tetto dei 1.000 nati l’anno. Risulta in calo il numero di quanti vengono messi al mondo in punti nascita con meno di 500 parti l’anno, passando dal 6,7% nel 2015 al 5,8% nel 2016. Dato che, secondo il rapporto Cedap, “è del tutto in linea con il percorso di riorganizzazione della rete dei punti nascita, che è stato avviato dalle Regioni, in attuazione dell’accordo del 16 dicembre 2010”.