Endometriosi e maternità: a spiegare il corretto percorso da compiere se si desidera un bambino è Pasquale Totaro, direttore del Centro di procreazione medica assistita dell’ospedale Santa Maria di Bari
L’endometriosi è una patologia diffusa che colpisce le donne in età fertile e che si caratterizza per la presenza di tessuto endometriale all’esterno della cavità uterina. Non è ancora nota la causa, ma quel che è certo è che ogni mese, con l’arrivo del ciclo, la donna che ne è affetta può accusare forti dolori e vedere pregiudicate la sue normali attività. Non solo: l’endometriosi, soprattutto nei casi più severi, può generare diversi ostacoli nel percorso di concepimento ed essere causa d’infertilità. A spiegare all’agenzia di stampa Dire (www.dire.it) il corretto percorso da compiere se si desidera un bambino è Pasquale Totaro, direttore del Centro di procreazione medica assistita dell’ospedale Santa Maria (Gruppo Gvm Care & Research) di Bari.
– Quali sono gli effetti dell’endometriosi sulla fertilità?
“Secondo l’Oms l’endometrosi colpisce più di 150 milioni di donne in tutto il mondo e 3 milioni solo in Italia. Se volessimo tradurre questi numeri, si può dire che il 10%-15% delle donne in età riproduttiva nel nostro Paese sono affette da questa patologia. L’endometriosi è una malattia femminile caratterizzata da un accumulo anomalo di cellule endometriali che si trovano fuori dalla loro sede naturale, cioè la cavità uterina. Questa anomalia genera un’infiammazione dolorosa per tutto l’apparato femminile e in particolar modo interessa le ovaie e le tube. Il 30-50% di questi casi arriva ad una diagnosi successiva d’infertilità. A volte questa malattia è asintomatica e invalidante per la donna perché caratterizzata da dismenorrea e dolori pelvici cronici, con la presenza di dolori anche durante i rapporti sessuali. Insomma, questa patologia si caratterizza per un’infiammazione cronica e interessa sia le tube sia le ovaie alterandone la normale funzione”.
– Qual è l’aiuto della Pma in caso di endometriosi? E quali sono le tecniche (tra Iui, Fivet e Icsi) con maggiori percentuali di successo?
“Il nostro ospedale Santa Maria di Bari eroga risposte terapeutiche a 360 gradi, avendo al suo interno un ambulatorio dedicato, un reparto di degenza con un’ottima chirurgia e un centro di fecondazione. Le tecniche di Pma si avvalgono di procedure e tecnologie sempre più sofisticate e le percentuali di successo sono molte altre. L’inseminazione è un primo livello e può essere utilizzata in tutti quei casi in cui la paziente è affetta da un livello di endometriosi di basso grado, quando una tuba è aperta e il liquido seminale dell’uomo è buono allora si può tentare con la Iui. In tutti gli altri stadi più avanzati si ricorre alla Fivet o all’Icsi. Entrambe queste tecniche sono codificate come tecniche di II livello. In particolare nella Fivet, lo spermatozoo e l’ovocita vengono fatti ‘incontrare’ in laboratorio mentre nell’Icsi lo spermatozoo viene iniettato direttamente nell’ovocita. In tutti i Centri di Pma si opta nel 90% dei casi per l’Icsi per la maggiore riuscita della fecondazione. Una volta coltivato l’embrione si procede ad embrio transfert nella cavità endometriale. L’utero è messo al riparo dall’endometriosi poiché ad ogni mestruazione le cellule si accumulano nelle tube e nell’ovaio creando veri e propri agglomerati di sangue dette anche ‘cisti cioccolato’ che crea infiammazione e ostruisce le tube danneggiandole appunto e creando moltissime aderenze”.
– E’ sempre necessario, prima di un ciclo di Pma, curare chirurgicamente l’endometriosi o si può ricorrere anche a soluzioni farmacologiche?
“Dipende dalla gravità della malattia: nei primi due stati non è necessaria alcuna operazione chirurgica e terapia specifica. Paradossalmente, se dovessimo sottoporre a laparoscopia 100 donne, 80 di queste presenterebbero alcuni focolai di cellule endometriosiche che però non creano problemi o dolori particolari. Mentre nel terzo e quarto stadio di endometriosi la terapia farmacologica con i progestinici è utile. Il progestinico bilancia e migliora la patologia e soprattutto apporta un beneficio per quanto riguarda i dolori. Chiaramente la terapia tiene a bada il problema fin quando si assumono i farmaci dopo di che l’endometriosi torna a creare dolori. Nel caso in cui invece la patologia è molto estesa bisogna per forza sottoporsi ad intervento chirurgico che migliora sicuramente la qualità di vita della paziente ma danneggia un pò il patrimonio della riserva ovarica. Il gold standard in questi casi è utile sottoporsi a fecondazione assistita”.
– La stimolazione ovarica crea maggiore controindicazioni o fastidi nella paziente con endometriosi?
“La stimolazione ovarica è controllata e finalizzata a far produrre alla paziente quanti più ovociti possibili. Generalmente le sensazioni provate dalla paziente sono dolori e gonfiore. Nelle pazienti questi effetti generalmente sono enfatizzati ma non danno luogo a problemi particolari”.
– Se dovesse originarsi una gravidanza a seguito di Pma, la donna presenta delle criticità maggiori rispetto ad un soggetto sano?
“Assolutamente no, anzi la patologia ne trae giovamento perché la malattia migliora poiché per 9 nove mesi la paziente non avrà il ciclo mestruale. La gravidanza diventa infatti un vero e proprio successo per la donna a beneficio della patologia”.
– Davanti ad una donna con endometriosi, che però non ha un compagno stabile o al contrario non possiede un lavoro che le dia sicurezza, un ginecologo responsabile che tipo di consigli le dovrebbe dare? Il social freezing è una valida soluzione?
“Il social freezing è il gold standard. Se la paziente è ‘pronta’ a diventare mamma e ha un compagno in questo caso se la patologia è severa si invia la paziente ad intervento chirurgico seguito subito dopo da fecondazione assistita. Se la paziente invece non vive una situazione di questo tipo si procederà prima ad intervento chirurgico di ‘pulizia’ e poi al congelamento degli ovociti da usare successivamente. Le donne che si rivolgono presso la nostra struttura per il social freezing, con una età media di 35 anni d’età stanno aumentando”.
– Che cosa si può fare di più secondo lei per preservare la fertilità?
“Il problema oggi risiede anche nell’uomo e non solo nella donna. La visita di leva riusciva ad ‘intercettare’ diversi problemi mentre oggi sempre più spesso afferiscono ai nostri centri uomini tra i 35 e i 36 anni con patologie gravi che originano infertilità e oggi, al pari di quella femminile, si attestano al 50%. Credo che la prevenzione nelle scuole in particolar modo sia utile per sensibilizzare sull’importanza per uomini e donne a sottoporsi a visite specialistiche. E non da meno bisogna sensibibilizare tanto i medici di medicina generale che i ginecologi, ad inviare pazienti con supposta diagnosi di infertilità ai centri specializzati dopo un certo numero di tentativi falliti di raggiungere una gravidanza”.