Ipercolesterolemia familiare, la pratica clinica conferma l’efficacia della lomitapide. Nuovo studio coinvolgerà tutti i pazienti europei trattati con il farmaco
Sei anni fa arrivava sul mercato una nuova molecola, la lomitapide, che avrebbe rivoluzionato il trattamento dell’ipercolesterolemia familiare omozigote, una rara patologia genetica potenzialmente letale. Questa condizione è caratterizzata da un marcato aumento delle lipoproteine a bassa densità (il colesterolo LDL, conosciuto come “colesterolo cattivo”) e da un’accelerata aterosclerosi, causata dalla funzione gravemente compromessa del recettore del colesterolo LDL (LDLR). Pertanto, un’aggressiva terapia ipolipemizzante è obbligatoria per controllare l’alto rischio di malattia vascolare: sfortunatamente, le terapie standard sono spesso inefficaci nel raggiungimento di questi obiettivi.
La lomitapide è una piccola molecola che inibisce una proteina nota come microsomal triglyceride transfer protein (MTP): questo farmaco viene somministrato per via orale e deve essere assunto una volta al giorno. Gli studi clinici hanno mostrato che la lomitapide è in grado di ridurre la colesterolemia LDL di circa il 50%, con effetti collaterali prevalentemente di tipo gastrointestinale (come nausea, diarrea ed elevazione degli enzimi epatici).
Per confermare i dati osservati negli studi clinici, un gruppo di ricercatori ha deciso di studiare gli effetti del farmaco in ambito real-world, ovvero nella pratica clinica quotidiana. Lo studio osservazionale (che ha coinvolto anche i professori Maurizio Averna e Marcello Arca, recentemente intervistati da O.Ma.R.) è stato pubblicato nel maggio 2017 sulla rivista Advances in Therapy: prima autrice era la dr.ssa Laura D’Erasmo, del Dipartimento di Medicina Interna del Policlinico Umberto I di Roma.
“Abbiamo contattato tutti i dieci centri clinici in Italia in cui il farmaco veniva prescritto, i quali ci hanno fornito i dati relativi alla loro esperienza nell’uso della lomitapide in pazienti trattati da almeno 6 mesi, in aggiunta alle terapie convenzionali quali statine ed ezetimibe”, spiega Laura D’Erasmo. “Considerata la natura retrospettiva, la gestione terapeutica del paziente non è stata modificata dall’inserimento nello studio e sono stati utilizzati solo i dati disponibili nella documentazione clinica. I pazienti inclusi nello studio sono stati quindici e il periodo di osservazione medio è stato di 32,3 mesi. I valori medi di colesterolo LDL con le terapie convenzionali erano 426 mg/dL, e l’aggiunta di lomitapide alla dose media di 19 mg al giorno ha ridotto questi livelli del 68,2%. All’ultima visita, inoltre, il 60% dei pazienti ha mostrato valori inferiori a 100 mg/dL, mentre nel 46,6% dei casi erano addirittura minori di 70 mg/dL”, prosegue la dr.ssa D’Erasmo.
Durante il follow-up, a causa della marcata riduzione del colesterolo LDL, 8 pazienti su 10 che ricevevano l’aferesi delle lipoproteine hanno interrotto questo trattamento. Nel corso del periodo di osservazione, il 53,3% dei pazienti ha riportato almeno un episodio di diarrea, ma nessuno è stato definito grave; nessuno ha mostrato un’elevazione delle transaminasi epatiche a più di 5 volte il limite superiore dei valori normali o ha dovuto interrompere il trattamento a causa di effetti collaterali.
“In questa esperienza nel mondo reale, la lomitapide ha confermato di essere un potente e sicuro agente ipolipemizzante per la cura dei pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare omozigote”, conclude la dr.ssa D’Erasmo. “Nel tentativo di confermare questi risultati e verificare se la riduzione del colesterolo LDL ottenuta con la lomitapide si traduca in una riduzione del rischio cardiovascolare (che in questi pazienti è particolarmente alto), stiamo coordinando uno studio collaborativo in cui verranno inclusi tutti i pazienti che in Europa vengono trattati con questo farmaco”.