Trastuzumab è la molecola che ha rivoluzionato la cura del tumore al seno. Oggi è uno dei farmaci alla base del trattamento del tumore mammario
“HER2 e tumore mammario – una fenomenale storia di successo.” Parla chiaro il titolo dell’articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine, che racconta la storia della scoperta che ha portato tre scienziati fino al premio Lasker-DeBakey 2019. I vincitori del riconoscimento sono gli statunitensi Michael Shepard e Dennis Slamon e il tedesco Axel Ullrich, premiati, come si legge sul sito della Albert and Mary Lasker Foundation, “per aver creato Herceptin (questo è il nome commerciale della molecola trastuzumab, ndr), il primo anticorpo monoclonale che blocca una proteina capace di causare il cancro, e per averlo trasformato in una terapia salvavita per donne con tumore al seno”.
La storia
Nel 1980 erano disponibili due tipi di terapie sistemiche per le donne con il tumore del seno: la chemioterapia e la terapia ormonale, quest’ultima riservata alle pazienti con tumori positivi per il recettore degli estrogeni. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, però, lo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare ha permesso ai ricercatori di comprendere a fondo alcuni meccanismi biologici e cellulari, e di identificare geni e proteine potenzialmente interessanti per la cura dei tumori. Tra queste anche il fattore di crescita epidermico (EGF) e il suo recettore (EGFR o HER), che sono in grado di innescare nelle cellule la sopravvivenza, la proliferazione, la migrazione e l’invasione di altre aree. Si tratta delle caratteristiche tipiche della cellula tumorale. Gli studi successivi portarono a scoprire che circa il 20 per cento delle nuove diagnosi di tumore del seno presenta una quantità maggiore del normale del gene che codifica per il recettore HER2 (chiamato ERBB2) e che questi tumori erano particolarmente aggressivi rispetto a quelli che non presentavano la stessa alterazione.
Dal laboratorio alla clinica
Le scoperte di laboratorio dovevano ora essere trasferite in clinica. Ullrich e Slamon per primi riferirono che la prognosi era peggiore nelle pazienti con più copie del gene ERBB2 o con i corrispondenti recettori in quantità eccessive sulla superficie delle cellule tumorali. Quasi contemporaneamente i ricercatori della Genentech crearono anticorpi specifici contro il recettore HER2, rivelatisi molto efficaci nel bloccare la proliferazione e la sopravvivenza delle cellule che presentavano tale bersaglio molecolare.
C’era però un problema. Questi anticorpi erano stati sviluppati in topi di laboratorio e non potevano essere utilizzati in studi che coinvolgevano esseri umani. Servivano versioni “umanizzate”, come quella creata nel 1992 dal gruppo di Shepard e diventata nota in tutto il mondo con il nome di trastuzumab. I dati sull’efficacia del trattamento portarono la Food and Drug Administration (FDA) ad approvarne l’uso nel 1998.
La ricerca non si ferma mai
Almeno due milioni di donne nel mondo sono state trattate con trastuzumab e molte hanno tratto beneficio da questa terapia, che è oggi il trattamento standard per le pazienti con tumore del seno positivo per HER2. Il farmaco è efficace anche nelle donne con una malattia metastatica che, grazie al trattamento, riescono a raggiungere una migliore qualità di vita e a vivere più a lungo. Nel corso degli anni la famiglia di farmaci diretti contro l’azione di HER2 si è ampliata per includere molecole come l’anticorpo monoclonale pertuzumab, i cosiddetti inibitori tirosin chinasici di HER2 (lapatinib, neratinib e pazopanib) e trastuzumab emtansine, una combinazione tra anticorpo e farmaco tossico per la cellula.
L’arrivo, negli ultimi anni, dell’immunoterapia apre la strada a possibili combinazioni con farmaci anti-HER2. Infine, ma non certo meno importante, trastuzumab sembra avere un effetto anche in altri tumori positivi per HER2 come per esempio quello dello stomaco.
“Le lezioni più importanti che possiamo imparare dalla storia dello sviluppo di trastuzumab sono l’enorme valore di un gruppo di ricercatori visionari, dedicati al progetto e convinti di poter fare la differenza, e il valore delle collaborazioni tra scienziati e tra istituzioni pubbliche e private” afferma Shepard in un suo articolo pubblicato su Cell.