La recensione dello spettacolo in scena fino al 27 ottobre nel teatro fiorentino di Rifredi, poi in tournée a Napoli e Roma
Da alcuni anni il teatro fiorentino di Rifredi svolge un puntuale lavoro di valorizzazione di autori internazionali ancora poco conosciuti in Italia, se non completamente ignoti. Dopo il catalano Josep Maria Miró, dopo il francese Rémi de Vos, adesso è il turno di Sergio Blanco, drammaturgo e regista di origini uruguaiane, ben rappresentato e apprezzato in tutto il mondo e ancora quasi sconosciuto da noi. Di Blanco il regista Angelo Savelli ha scelto il testo “Tebas land”, in scena in prima nazionale a Rifredi fino al 27 ottobre, interpretato da Ciro Masella e Samuele Picchi.
Un testo – già allestito con successo a Londra, a Madrid e in Sud America, del quale Savelli ha curato anche la traduzione italiana – che gioca a spiazzare il lettore/spettatore fin dall’inizio. Si mescolano realtà e finzione in una sorta di pirandellismo contemporaneo dove la verità ha molte facce (“io sono colei che mi si crede” si leggeva nel “Così è se vi pare”), e soprattutto si realizza una radicale forma di drammaturgia, definita da Blanco “autofinzione”, dove l’autore si mette in scena mescolando la sua biografia, vera e immaginaria, con temi di attualità e riflessioni sulla vita.
La storia è quella di un drammaturgo, S, che vuole portare in scena la storia di Martín Santos, un ragazzo che si trova in prigione con l’accusa di aver ucciso il proprio padre. A partire da una serie di colloqui che si svolgono in prigione, nel recinto di un campetto di pallacanestro, tra il giovane parricida e il drammaturgo, “Tebas Land” a poco a poco si allontana dalla ricostruzione documentaristica del crimine per soffermarsi sulla relazione che si instaura tra lo scrittore e il detenuto e sulla possibilità ed ambiguità di poter trasporre correttamente la realtà in una creazione artistica. Perché con l’autore e con il prigioniero entra in gioco anche un attore, Samuele, chiamato ad interpretare il ruolo del giovane assassino nello spettacolo, e le dinamiche tra i due attori in scena si moltiplicano. I dialoghi si sdoppiano come in un gioco di scatole cinesi, e ora parlano il drammaturgo S e il detenuto Martín, ora sempre S con Samuele, mentre gli attori sulla scena sono sempre gli stessi due, a muoversi tra il campo di basket della prigione e l’ufficio nel quale lavorano allo spettacolo.
Lo spettatore si interroga sul dove inizii la realtà e dove la rappresentazione, mentre l’autore, Blanco, si diverte a seminare il dubbio, anche con le parole di dialoghi: “I miei non sono veri Ray Ban, sono delle imitazioni. Come le sneakers, le Nike. Sembrano, però non sono quelle vere. Sono false” dice il prigioniero Martín durante uno dei colloqui, sottolineando lo scarto tra realtà e finzione che plasma tutto lo spettacolo. La regia di Savelli si districa abilmente tra i piani narrativi, evidenziando con un cambio di luci il passaggio da una prospettiva ad un’altra, e facendo muovere nel campo di basket la coppia autore/detenuto e nell’ufficio quella autore/attore. I due attori in scena si muovono con disinvoltura tra le tante sfaccettature dei personaggi. Masella restituisce con abilità un S molto compreso nel suo ruolo di autore, sbrigativo e a tratti saccente, capace però di commuoversi – e commuoverci – di fronte alla tragedia di Martín, carnefice ma anche vittima di un padre orco. Samuele Picchi si sdoppia abilmente tra i panni del detenuto e quelli dell’attore; un’abbassamento della spalla e un lieve accenno di balbuzie bastano a passare con disinvoltura dall’uno all’altro.
Lo spettacolo è in cartellone a Rifredi fino al 27 ottobre, poi a Napoli al Nuovo Teatro Sanità (1-2-3 novembre) e a Roma, Spazio Diamante, dal 20 febbraio 2020