Farmaci biologici arma contro il cancro al seno


I farmaci biologici sono molecole proteiche complesse che vengono prodotte in laboratorio: un’arma in più contro il tumore al seno

I farmaci biologici sono molecole proteiche complesse che vengono prodotte in laboratorio: un'arma in più contro il tumore al seno

Il tumore al seno non va considerato come un’unica malattia uguale per tutte le donne, perché ne esistono diverse tipologie che si differenziano tra loro per morfologia, biologia e anche per risposta alle terapie.

Come sottolinea la dottoressa Rita De Sanctis, specialista in Oncologia medica ed Ematologia in Humanitas: “È molto importante definire il profilo biologico del singolo tumore al fine di ritagliare la terapia su misura per ogni paziente. La patologia mammaria può essere suddivisa in tre principali sottogruppi: tumore con recettori ormonali (estrogeni e progesterone) positivi; tumore con recettore HER2 positivo; tumore triplo negativo (che spesso presenta una mutazione BRCA) che non esprime né recettori per gli estrogeni, né per il progesterone e neppure per HER2. Contro i tumori al seno, oltre ai farmaci chemioterapici, disponiamo dei farmaci biologici”.

Che cosa sono i farmaci biologici?

I farmaci biologici sono molecole proteiche complesse che vengono prodotte in laboratorio; devono il loro nome al fatto che il principio attivo deriva da una fonte biologica, come per esempio le cellule.

Questi farmaci sono in grado di agire su uno specifico recettore, con l’obiettivo di modificare l’andamento della malattia. Ne sono un esempio gli anticorpi monoclonali, farmaci intelligenti capaci di riconoscere e colpire selettivamente una proteina presente sulle cellule tumorali, limitando così gli effetti collaterali caratteristici della chemioterapia.

La terapia ormonale per i tumori ormono-sensibili

Nel caso di tumori con recettori ormonali positivi per estrogeni e progesterone, la prima terapia biologica mirata e ancora in uso è la terapia ormonale. Questi farmaci agiscono interferendo con l’attività degli estrogeni, che sono coinvolti nell’insorgenza dei tumori del seno.

Questa terapia però porta con sé il rischio di ormono-resistenza, un meccanismo simile alla resistenza antibiotica, per il quale la cellula tumorale resiste all’effetto dei farmaci perché ha “compreso” il meccanismo d’azione della terapia ormonale. Negli ultimi anni si è molto lavorato sul rischio di insorgenza di ormono-resistenza e per contrastarla sono stati introdotti nella pratica clinica gli inibitori delle chinasi ciclina-dipendenti: tre molecole (palbociclib, ribociclib, abemaciclib) che contribuiscono a rallentare la crescita delle cellule, inibendo due proteine chiamate chinasi ciclina-dipendente 4 e 6 (CDK-4/6) che se iper-attivate consentono alle cellule tumorali di replicarsi in maniera incontrollata.

I farmaci biologici per i tumori HER2 positivi

Nel caso dei tumori positivi per il recettore HER2 sono stati messi a punto in laboratorio diversi anticorpi monoclonali: farmaci capaci di riconoscere in maniera selettiva determinate cellule tumorali per la presenza di specifiche proteine sulla loro superficie, come il recettore HER2. Ne sono un esempio trastuzumab, pertuzumab e T-DM1 che agiscono a diversi livelli del recettore.

Trastuzumab riconosce la proteina HER2 e vi si lega, bloccando così la crescita delle cellule HER2 positive. Ha rivoluzionato il trattamento delle forme HER2 positive e ha migliorato considerevolmente il tasso di sopravvivenza.

Anche Pertuzumab riconosce HER2 e vi si lega, ma in un punto diverso rispetto a Trastuzumab, e consente di bloccare la crescita della cellula HER2 positiva. Per una maggior efficacia si utilizza in associazione con trastuzumab e un chemioterapico (come per esempio, il docetaxel).

T-DM1 invece è costituito da trastuzumab a cui è legato un chemioterapico ed è progettato in modo da veicolare il chemioterapico direttamente all’interno delle cellule tumorali con HER2 sulla propria superficie, grazie al legame con trastuzumab (come una sorta di cavallo di Troia). Al momento del legame, infatti, il chemioterapico si stacca dal trastuzumab ed entra nella cellula tumorale portandola alla distruzione.

I farmaci biologici in caso di malattia triplo-negativa

Spesso nelle pazienti con malattia triplo-negativa si osserva una mutazione nei geni BRCA.

Per questi tumori non abbiamo recettori o terapie mirate, ma solo la chemioterapia (dalla fase adiuvante a quelle più avanzate di malattia) che però sfrutta un meccanismo non ancora così preciso come le terapie biologiche.

Le cellule sane e quelle tumorali hanno la stessa modalità di crescita, la differenza risiede nella velocità di riproduzione. A ogni ciclo cellulare abbiamo un raddoppiamento delle cellule, ma quelle tumorali – nello stesso intervallo di tempo – riescono a riprodursi più velocemente e dunque si presentano in numero maggiore. La chemioterapia colpisce le cellule che crescono più rapidamente e dunque le tumorali, ma purtroppo coinvolge ancora alcune cellule sane, motivo per cui abbiamo gli effetti collaterali a livello delle mucose, dell’intestino e del cuoio capelluto.

Il ruolo dei PARP inibitori

Accanto alla chemioterapia, per le pazienti portatrici della mutazione del gene BRCA1 o BRCA2 (più spesso affette da malattia triplo negativa), vi sono poi i PARP inibitori. Si tratta di una nuova categoria di farmaci capaci di sfruttare la mancanza di alcuni meccanismi di riparazione del DNA nelle cellule tumorali, per condurle alla morte.

I PARP (Poli-ADP-ribosio-polimerasi) sono una famiglia di proteine coinvolte nella riparazione delle rotture di un singolo filamento del DNA (che è strutturalmente una doppia elica). Di fronte all’interruzione di uno dei due filamenti del DNA, i PARP riparano il danno; se invece il danno interessa entrambi i filamenti, intervengono nella riparazione le proteine BRCA1 e BRCA2 normali (derivanti dai rispettivi geni non mutati).

Nelle pazienti con mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2 manca però il meccanismo di riparazione delle rotture nel doppio filamento del DNA. Utilizzare i PARP inibitori consente di bloccare la riparazione delle rotture al singolo filamento del DNA. Nelle cellule tumorali, l’impossibilità di riparare il singolo filamento determina l’aumento delle rotture nel doppio filamento, che non possono però essere corrette perché in queste cellule il meccanismo di riparazione del doppio filamento non funziona e così le cellule tumorali vengono distrutte.