La riabilitazione oncologica può migliorare notevolmente la qualità di vita del paziente sia durante il percorso terapeutico sia quando il tumore è vinto o è sotto controllo
La parola “riabilitazione” fa pensare alla convalescenzza dopo una frattura o al lento recupero dopo un ictus, mentre è meno scontato associarla al cancro. Ma la riabilitazione oncologica esiste, come spiega l’Airc, e può davvero aiutare i pazienti a limitare le disabilità dovute al tumore e alle terapie e ritornare a standard di vita quanto più simili a quelli precedenti la malattia.
Serve in acuto
“La riabilitazione oncologica si articola su due versanti: la riabilitazione immediata e la riabilitazione cronica” spiega Augusto Caraceni, direttore della Struttura complessa di cure palliative, terapia del dolore e riabilitazione dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. “La riabilitazione immediata si svolge nel corso del trattamento (chirurgico, chemioterapico, radioterapico) e serve a recuperare la validità fisica e a venire incontro alle difficoltà che il tipo di intervento comporta.” Ne sono un esempio il recupero motorio e funzionale dopo un intervento chirurgico e la gestione delle stomie temporanee (il “sacchetto” per la raccolta delle feci o dell’urina). Beneficiano della riabilitazione anche i pazienti sottoposti a chemioterapia che incontrano difficoltà legate agli effetti collaterali e i pazienti in fase avanzata, per esempio i pazienti con metastasi ossee che hanno bisogno di supporti e di training per adeguare la deambulazione alla condizione in cui si trovano.
Sulla lunga distanza
La riabilitazione cronica serve invece per affrontare gli esiti di alcuni tipi di interventi. “Oggi i trattamenti oncologici, anche chirurgici, sono molto avanzati, perciò i pazienti che hanno bisogno di un aiuto per il recupero possono essere una minoranza, ma questo non vuol dire che siano meno importanti” sottolinea Caraceni. Per esempio, in alcuni pazienti è necessario asportare i linfonodi e questo compromette la circolazione linfatica. È il caso delle donne operate per tumore al seno a cui vengono rimossi i linfonodi ascellari e che vanno incontro alla formazione di linfedemi (accumuli di linfa che circola nei vasi linfatici e viene drenata dai linfonodi) negli arti superiori. “Il linfedema ha sicuramente un impatto sulla qualità della vita e queste pazienti hanno bisogno di essere seguite nel tempo. I trattamenti sono palliativi perché non possiamo ripristinare la circolazione linfatica in assenza dei linfonodi, ma il deficit può essere migliorato con diversi tipi di esercizi e trattamenti fisici.” Altri esempi di pazienti che beneficiano della riabilitazione nel lungo periodo sono quelli sottoposti a interventi agli arti o all’area della testa e del collo (molto critica per la deglutizione e l’articolazione del linguaggio) o a interventi ginecologici o alla prostata in cui risulta compromesso il controllo degli sfinteri.
Specializzazione necessaria
“È l’oncologo ad avviare il percorso di riabilitazione, interfacciandosi con la struttura specializzata dell’ospedale per concordare un piano riabilitativo a lungo termine. Il paziente, dopo la dimissione viene poi inviato alle strutture presenti nell’area di residenza” spiega Caraceni. Purtroppo i centri specializzati nella riabilitazione oncologica, come l’Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma e la Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia, non sono molti e sono più numerosi al Nord che al Centro-Sud.
“In Italia, le strutture che si occupano in modo specifico di riabilitazione del bambino con tumori cerebrali sono l’Ospedale Bambino Gesù a Roma e l’Istituto scientifico Eugenio Medea, che ha sede centrale in Lombardia ma è presente in altre tre regioni italiane, Friuli, Veneto e Puglia” afferma Enrico Castelli, responsabile della Neuroriabilitazione pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù. Dato che si tratta di percorsi molto lunghi, la riabilitazione deve però essere svolta non solo in centri specializzati, ma anche in realtà locali. “I bambini vengono inviati alle strutture specializzate per la fase iniziale più complessa, ma poi è necessario che intervengano i servizi territoriali per proseguire il trattamento e per il follow-up spiega Castelli. “Questi servizi sono disponibili su tutto il territorio nazionale, anche se ci sono aree più fornite di altre. In particolare, operatori specializzati per terapie come il training per la disfagia (difficoltà a deglutire) o della respirazione si trovano solo in strutture che trattano tanti bambini.”
Scarsa considerazione
Nel 2008 era stato fatto uno sforzo per il coordinamento nazionale della riabilitazione oncologica, promosso dalla Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO). Il progetto è scaturito in un volume, il Libro Bianco sulla riabilitazione oncologica, che contiene un’analisi dei vari aspetti della riabilitazione oncologica e un censimento delle strutture esistenti. “Sarebbe necessario un aggiornamento, ma mi sembra che l’interesse su questo tema sia calato nel tempo” commenta Caraceni. “Si parla molto di presa in carico del paziente, ma per farlo sono necessarie più risorse di quelle disponibili. Il personale, in particolare, è l’elemento determinante per quanto riguarda la qualità dell’assistenza e la sua multidimensionalità.” Castelli sottolinea come per essere veramente efficace l’intervento debba coinvolgere molte figure professionali: “Non è possibile lavorare da soli, ci vuole un team. Nella riabilitazione dei bambini in ambito neurologico, per esempio, sono coinvolti il neurologo, il neuropsichiatra, lo psicologo, il fisiatra, i terapisti, gli infermieri e così via. È necessario interagire con gli altri servizi dell’ospedale: l’oncologia, la radiologia, la neurochirurgia, la pediatria e in certi casi anche con la terapia intensiva.” Aumentando le risorse per il personale sanitario, spiega l’esperto, si potrebbe aumentare l’offerta dei servizi riabilitativi e di riflesso migliorare la qualità di vita dei pazienti colpiti dal cancro.
Un cavallo robot per i bambini
La riabilitazione è particolarmente importante per i bambini colpiti da tumori del sistema nervoso centrale. “La riabilitazione in questo ambito ha cominciato a ricevere maggiore attenzione solo di recente, perché fino a pochi anni or sono la prognosi di questi bambini era infausta. Oggi, grazie alla diagnosi precoce, agli interventi neurochirurgici e alle terapie, circa il 75 per cento dei bambini con tumori cerebrali, presi complessivamente, è vivo a 5 anni dalla diagnosi. Questi pazienti presentano però problemi legati alla sede del tumore e agli interventi fatti per eliminarlo” spiega Enrico Castelli, responsabile della Neuroriabilitazione pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma.
“L’intervento parte dalla valutazione delle problematiche presenti, quindi si identificano le priorità del progetto riabilitativo e si prepara un programma, ossia si scelgono le tipologie di trattamento utili per raggiungere gli obiettivi previsti dal progetto. Il programma viene poi applicato in modo intensivo e, con il progressivo miglioramento del bambino, progetto e programma vengono aggiornati.”
Le azioni necessarie possono essere di vario tipo: riabilitazione motoria, trattamento dei disturbi sensoriali (soprattutto vista e udito), trattamento delle funzioni cognitive, potenziamento dell’autonomia del bambino nella vita quotidiana, supporto psicologico al piccolo e alla famiglia. “Se il bambino è in età scolare abbiamo la possibilità di fargli frequentare la scuola interna all’ospedale” racconta Castelli. “Anche l’ambiente è importante, per questo abbiamo curato molto il contesto in cui il bambino è inserito in modo che sia ricco di stimoli, che ci siano attività svolte da volontari e la pet therapy.”
Nella sede di Santa Marinella vengono utilizzati dispositivi ad alta tecnologia sia per valutare in modo oggettivo i problemi presentati dai bambini, sia per effettuare un training intensivo per il recupero dell’equilibrio, del controllo del capo, del tronco, degli arti e del cammino. “L’ultimo dispositivo arrivato è un cavallo robotico. Sulla sella possono salire il bambino o il bambino e il terapista insieme, se necessario. Viene utilizzato per il training del controllo di capo, tronco e bacino. Certo, non essendo un cavallo vero manca la componente affettiva, però ha dei vantaggi, come la possibilità di modificare alcune variabili per un intervento personalizzato e di operare in completa sicurezza.”
Non va mai dimenticato che il bambino non affronta questo percorso da solo. “La famiglia è un attore fondamentale dell’intervento riabilitativo: nessuno conosce il bambino meglio dei genitori. Vanno però coinvolti nel modo corretto: non devono trasformarsi in terapisti, ma collaborare con le figure professionali. Devono affidarsi all’équipe: se durante il percorso di cura non c’è fiducia, si rischia che l’intervento sul bambino abbia un’efficacia inferiore. I genitori vanno sempre coinvolti e motivati”.