Coronaropatie: nuove protesi bioriassorbibili per il trattamento


Trattamento delle coronaropatie: ENEA ha ideato uno strumento finalizzato allo studio di nuove protesi bioriassorbibili

Trattamento delle coronaropatie: ENEA ha ideato uno strumento finalizzato allo studio di nuove protesi bioriassorbibili

ENEA ha messo a punto uno strumento finalizzato allo studio di nuove protesi bioriassorbibili per il trattamento delle coronaropatie. Realizzato in collaborazione con il California Institute of Technology nell’ambito del progetto europeo Bi-Stretch-4-Biomed coordinato da ENEA, lo strumento è in grado di espandere tubi polimerici o compositi, il primo passo per trasformarli in “impalcature” (scaffold) cardiovascolari, vale a dire protesi in grado di mantenere aperto il vaso ostruito ripristinando così il flusso sanguigno arterioso. Inoltre, la macchina permette di misurare durante il processo di espansione i parametri strutturali del nuovo materiale con cui sono realizzate le protesi.

“L’obiettivo finale del progetto è di sostituire gli stent metallici per il trattamento delle coronaropatie con nuove protesi bioriassorbibili, riassorbibili entro due anni dall’impianto e realizzate in materiale nanocomposito composto da polimero PLLA (acido polilattico) rinforzato con nanotubi di disolfuro di tungsteno (WS2). Gli scaffold in nanocomposito hanno uno spessore inferiore e proprietà meccaniche migliori rispetto ai corrispettivi realizzati in PLLA puro, cioè senza nanotubi”, spiega Fulvia Villani, coordinatrice del progetto del laboratorio Nanomateriali e dispositivi del Centro ricerche ENEA di Portici.

Queste protesi innovative saranno riassorbite dall’organismo dopo la guarigione della lesione ma saranno anche più semplici da spostare per il chirurgo lungo il percorso arterioso fino alla zona da trattare.

La fabbricazione di una protesi cardiovascolare inizia da un piccolo tubo di polimero (di diametro esterno inferiore a 2 millimetri) che viene sottoposto a un processo di deformazione mediante gonfiaggio con aria compressa. In questa fase, un accurato controllo delle grandezze fisiche coinvolte nell’espansione ed elongazione del tubo (tempificazione, temperature e pressione) conferirà allo scaffold la resistenza meccanica necessaria a mantenere l’arteria aperta ripristinando il flusso sanguigno durante il tempo necessario alla guarigione del vaso.

“Lo strumento, in gergo tecnico rig, ha una struttura molto compatta che permette il passaggio del fascio di raggi X necessario all’analisi strutturale, mentre opera e controlla il processo di espansione. Il rig è costituito di quattro parti: un corpo meccanico che ospita riscaldatori, cavi e sensori; uno stampo (mold); supporti per la preforma; un’unità di controllo dei parametri fisici del processo testato”, spiega Riccardo Miscioscia del laboratorio Nanomateriali e dispositivi del Centro ricerche ENEA di Portici.

Dal punto di vista scientifico, il progetto Bi-Stretch-4-Biomed si propone di comprendere il meccanismi che possono conferire a una plastica rinforzata (PLLA con inclusioni di WS2) le stesse caratteristiche meccaniche di un metallo nel sostenere l’arteria coronarica dimostrando la biocompatibilità del composito e traendo beneficio dalla sua bioriassorbibilità che, in ultima analisi, riduce la probabilità di recidive dopo il trattamento della lesione.

Gruppo di lavoro

Giuseppe Pandolfi (Laboratorio Nanomateriali e Dispositivi, ENEA), Giovanni De Filippo (Laboratorio Dispositivi Innovativi, ENEA), Tiziana Di Luccio (Laboratorio Nanomateriali e Dispositivi, ENEA / Division of Chemistry and Chemical Engineering, California Institute of Technology)

http://www.bi-stretch-4-biomed.com/