La gotta oggi può essere ben trattata ma attenzione al rischio per lo sviluppo di danni e di eventi cardiovascolari e renali
Nel passato era malattia della nobiltà, “figlia” dell’opulenza, del benessere, della ricchezza.
La storia ce lo conferma: di gotta hanno sofferto Giulio Cesare, Carlo Magno e Luigi XIV, grandi nomi del passato, tutti colpiti da quel fastidioso dolore alle articolazioni (solitamente le prime manifestazioni colpiscono l’alluce), che allora non si sapeva essere dovuto all’accumulo di acido urico, causato (spesso) da un eccesivo consumo di carne. Oggi si sa molto di più di un tempo sui meccanismi della patologia, che grazie alle terapie odierne può essere ben trattata.
Il paradosso è che la gotta è una delle malattie articolari che può essere curata al meglio, ma in molti casi non lo è, proprio perché i medici la sottostimano, ritenendola una malattia del passato. Ma le statistiche dicono che la gotta è quanto mai attuale e sempre più persone sono interessate dal suo ritorno.
In Italia i gottosi sono tra l’1 e il 2% della popolazione, il che vuol dire che interessa quasi 1 milione di persone. Per la maggior parte maschi in età avanzata: la percentuale, infatti, sale al 7% tra gli over 65 di sesso maschile. Nelle donne la patologia può colpire dopo la menopausa e nel nostro Paese convivono con la gotta il 3% delle ultra-ottantacinquenni.
A favorire la diffusione di questa malattia c’è la longevità. Si vive di più per cui aumenta la quota delle persone in cui una ridotta funzionalità renale può causare l’accumulo di acido urico. Questa sostanza si deposita sotto forma di cristalli a livello delle articolazioni, causando l’infiammazione e il dolore.
Ma legati al riemergere di questa patologia ci sono anche altri fattori. Sotto accusa, spiegano gli esperti dell’Ospedale Niguarda, ci sono anche gli stili di vita, l’alimentazione e l’uso di determinati farmaci. Il diabete, l’obesità, ma anche il digiuno prolungato, come ad esempio nei casi di anoressia, favoriscono il metabolismo dell’acido urico che aumentando la sua concentrazione circolante (iperuricemia) espone maggiormente al pericolo di scatenare la malattia.
Anche a tavola certi alimenti più di altri “sono alla sbarra”; tra questi: la ben nota carne rossa, ma anche insospettabili come la birra, e le sempre più diffuse bevande dolcificate col fruttosio.
“Pro-gotta” anche l’utilizzo di alcuni tipi di diuretici (quelli tiazidici), usati come anti-ipertensivi e l’aspirinetta, usata nei soggetti a rischio per la terapia antiaggregante.
L’aumento dei livelli di acido urico nel sangue non si risolve unicamente in un problema articolare; l’acido urico infatti risulta essere un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di danni e di eventi cardiovascolari e renali. Recenti studi ne hanno dato l’evidenza e le ricerche stanno proseguendo per comprenderne i meccanismi.