Nuova esplosione magnetica sul Sole osservata dal Solar Dynamics Observatory della Nasa. La comprensione di tale fenomeno potrebbe avere ripercussioni sulla Terra
Sebbene il Sole si stia avvicinando a infrangere il record di giorni senza macchie sulla sua superficie (nel 2019 sono già 276, e non accadeva dal 1913, quando rimase senza macchie per 311 giorni), è di qualche giorno fa la notizia che il Solar Dynamics Observatory, il telescopio della Nasa che dal 2010 sta studiando il Sole in orbita geosincrona, ha osservato, il 3 maggio del 2012, un’esplosione magnetica mai vista prima. Nella parte superiore dell’atmosfera solare, una protuberanza – un grande anello di materiale espulso da un’eruzione avvenuta sulla superficie del Sole – ha iniziato a ricadere sulla superficie, ma prima di riuscirci si è imbattuta in un groviglio di linee di forza del campo magnetico, scatenando un’esplosione magnetica.
In precedenza, gli scienziati avevano visto snap di un’eruzione solare e del riallineamento delle linee di forza del campo magnetico – un processo noto come riconnessione magnetica – ma nessuna era stata innescata da una vicina eruzione. L’osservazione, che conferma una teoria vecchia di oltre dieci anni, può aiutare gli scienziati a comprendere un mistero fondamentale dell’atmosfera della nostra stella, a prevedere meglio il tempo nello spazio e condurre a nuove scoperte sia sulla fusione controllata sia in esperimenti di fisica del plasma, in laboratorio.
«Si tratta della prima osservazione di un driver esterno di riconnessione magnetica», ha affermato Abhishek Srivastava, scienziato solare presso l’Indian Institute of Technology (Bhu). «Questa osservazione potrebbe essere molto utile per comprendere altri sistemi. Ad esempio, le magnetosfere terrestri e planetarie, altre fonti di plasma magnetizzato, inclusi esperimenti su scala di laboratorio in cui il plasma è altamente diffusivo e molto difficile da controllare».
In precedenza era stato visto un tipo di riconnessione magnetica noto come riconnessione spontanea, sia sul Sole che intorno alla Terra. Ma questo nuovo tipo di riconnessione, guidato da un’esplosione – chiamato riconnessione forzata – non era mai stato visto direttamente, sebbene fosse stato teorizzato per la prima volta 15 anni fa. Le nuove osservazioni sono state recentemente pubblicate su The Astrophysical Journal.
La riconnessione spontanea precedentemente osservata, per verificarsi richiede che ci sia una regione con determinate condizioni, come ad esempio un sottile strato di gas ionizzato che conduce solo debolmente la corrente elettrica. Il nuovo tipo, la riconnessione forzata, può avvenire in luoghi diversi, come in un plasma con una resistenza ancora inferiore a condurre una corrente elettrica. Tuttavia, può verificarsi solo se esiste un qualche tipo di eruzione ad attivarla. L’eruzione comprime il plasma e i campi magnetici, inducendoli a riconnettersi.
Sebbene il groviglio delle linee del campo magnetico sia invisibile, influenza il materiale che le circonda, una zuppa di particelle cariche ultra-calda, nota appunto con il termine di plasma. Gli scienziati sono stati in grado di studiare questo plasma usando le osservazioni del Solar Dynamics Observatory della Nasa, osservando nello specifico una lunghezza d’onda della luce che mostra particelle riscaldate a 1-2 milioni di kelvin.
Le osservazioni hanno permesso loro di vedere direttamente, per la prima volta, l’evento di riconnessione forzata nella corona solare, lo strato atmosferico più alto del Sole. In una serie di immagini scattate nel corso di più di un’ora, si è vista la protuberanza della corona ricadere nella fotosfera e, lungo il percorso di discesa, imbattersi in un groviglio di linee di forza del campo magnetico, che hanno causato l’evidente riconnessione a forma di “X”.
La riconnessione spontanea offre una spiegazione del perché l’atmosfera solare sia così calda – la corona è infatti milioni di gradi più calda degli strati atmosferici inferiori, e questo è un enigma che ha portato gli scienziati solari a cercare per decenni quale meccanismo stia guidando quel calore. I ricercatori hanno esaminato diverse lunghezze d’onda ultraviolette per calcolare la temperatura del plasma durante e dopo l’evento di riconnessione. I dati hanno mostrato che la protuberanza, abbastanza fredda rispetto alla corona, ha guadagnato calore dopo l’evento. Ciò suggerisce che la riconnessione forzata potrebbe essere un modo in cui la corona viene riscaldata localmente. Anche la riconnessione spontanea può riscaldare il plasma, ma la riconnessione forzata sembra essere un riscaldatore molto più efficace: aumenta la temperatura del plasma più rapidamente, di più e in modo più controllato.
Sebbene una protuberanza solare sia stata il driver di questo evento di riconnessione, anche i brillamenti e le espulsioni di massa coronale potrebbero causare una riconnessione forzata.
Dato che queste eruzioni influenzano il tempo nello spazio – le esplosioni di radiazioni solari possono danneggiare i satelliti intorno alla Terra – una migliore comprensione del fenomeno della riconnessione forzata può aiutare chi sviluppa modelli a prevedere quando le particelle di alta energia potrebbero arrivare sulla Terra.
Inoltre, comprendere come la riconnessione magnetica potrebbe essere forzata in modo controllato, potrebbe aiutare i fisici del plasma a riprodurre la riconnessione in laboratorio, con conseguenti ripercussioni positive nel campo della fisica dei plasmi.
Gli scienziati stanno continuando a cercare eventi di riconnessione forzata. Con più osservazioni potrebbero capire i meccanismi alla base della riconnessione. «Pensiamo che la riconnessione forzata sia ovunque», ha detto Srivastava. «Ma dobbiamo continuare a osservare e quantificare il fenomeno, se vogliamo dimostrare la nostra ipotesi».
Per saperne di più:
- Leggi su Astrophysical Journal l’articolo “On the Observations of Rapid Forced Reconnection in the Solar Corona”, di A. K. Srivastava, S. K. Mishra, P. Jelínek, Tanmoy Samanta, Hui Tian, Vaibhav Pant, P. Kayshap, Dipankar Banerjee, J. G. Doyle e B. N. Dwivedi
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