Linfoma follicolare, tripletta di farmaci con polatuzumab vedotin molto promettente per i pazienti recidivati/refrattari
Una nuova tripletta di farmaci, formata dal coniugato anticorpo-farmaco polatuzumab-vedotin, l’anticorpo anti-CD20 obinutuzumab e l’immunomodulatore lenalidomide, si è dimostrata molto attiva, inducendo un’alta percentuale di risposte durature, oltre che sicura e tollerabile, in pazienti con linfoma follicolare recidivato/refrattario, in uno studio di fase 1b/2 (GO29834) presentato a Orlando in occasione del meeting annuale della Società americana di ematologia (ASH).
Il tasso di risposta obiettiva (ORR) misurato con i criteri di Lugano modificati è risultato dell’83% secondo la valutazione degli sperimentatori e 76% quando valutato da revisori indipendenti, mentre il tasso di risposta completa è risultato rispettivamente del 61% e 65%. Adottando i criteri di Lugano originali, invece, l’ORR è risultata rispettivamente dell’83% e 76% e il tasso di risposta completa rispettivamente del 74% e 72%.
«Questa prima presentazione dei dati di efficacia ha evidenziato percentuali elevate di risposta completa alla fine della terapia di induzione in una popolazione pesantemente pretrattata e refrattaria, dati che si confrontano favorevolmente con quelli delle terapie ad oggi disponibili per il linfoma follicolare recidivante o refrattario» ha dichiarato la prima autrice dello studio, Catherine Diefenbach, direttore del programma sui linfomi del Perlmutter Cancer Center della New York University. Inoltre, ha aggiunto l’autrice, «La nuova tripletta ha mostrato un profilo di sicurezza coerente con i profili già noti dei singoli farmaci».
I presupposti dello studio
In uno studio precedente di fase 1/2b la combinazione di polatuzumab-vedotin e obinutuzumab si era dimostrata attiva e ben tollerata in pazienti con linfoma follicolare recidivato/refrattario e, sempre in questi pazienti, uno studio successivo di fase 2 aveva evidenziato un’attività promettente, associata a un profilo di sicurezza accettabile, della doppietta obinutuzumab più lenalidomide.
La Diefenbach e i colleghi hanno quindi pensato di combinare i tre agenti e testare la tripletta nello studio GO29834, al fine di cercare di aumentare ulteriormente le percentuali di risposta.
Al congresso di Orlando, i ricercatori hanno presentato per la prima volta i risultati completi dell’analisi primaria di efficacia e sicurezza del trial.
Lo studio GO29834
GO29834 è uno studio multicentrico internazionale, in aperto, ancora in corso, su pazienti con linfoma follicolare recidivato/refrattario, già sottoposti ad almeno un precedente trattamento chemioimmunoterapico contenente un anticorpo anti-CD20.
Il disegno dello studio prevedeva una fase di dose-escalation nella quale si è identificato il dosaggio raccomandato dei tre agenti per la fase 2: polatuzumab vedotin 1,4 mg/kg, lenalidomide 20 mg e obinutuzumab 1000 mg. L’induzione consisteva nella somministrazione di polatuzumab vedotin il giorno 1 per sei cicli di 28 giorni, obinutuzumab il giorno 1 del primo ciclo e quindi nei giorni 1, 8 e 15 nei cinque cicli successivi e lenalidomide nei giorni da 1 a 21 di ciascun ciclo.
I pazienti che hanno raggiunto una risposta obiettiva o una stabilizzazione della malattia hanno continuato il trattamento con obinutuzumab (1000 mg il giorno 1 ogni 2 mesi) per un massimo di 24 mesi e lenalidomide (10 mg nei giorni da 1 a 21 di ciascun ciclo) per 12 mesi.
Pazienti altamente pretrattati e refrattari
Dopo aver escluso 10 pazienti non hanno ricevuto la dose raccomandata per la fase 2, ne sono rimasti 46 in cui si è potuta valutare l’efficacia, 39 dei quali hanno completato la fase di induzione.
L’età mediana dei partecipanti era di 62 anni e gli uomini rappresentavano il 59% della popolazione totale. L’88% della popolazione studiata aveva una malattia in stadio III/IV secondo la classificazione di Ann Arbor, il 16% una malattia ‘bulky’, il 43% un coinvolgimento del midollo osseo e il 55% un punteggio elevato (≥3) dell’indice prognostico FLIPI, e quindi un alto rischio di progressione della malattia.
I pazienti erano già stati sottoposti a una mediana di tre linee di terapia, il 59% era risultato refrattario all’ultima terapia effettuata, il 71% a qualsiasi terapia anti-CD20 e il 25% era progredito entro 24 mesi dall’inizio della terapia di prima linea.
Tassi di risposta incoraggianti anche nei sottogruppi
Le analisi sui sottogruppi hanno evidenziato nei pazienti la cui malattia era progredita entro 24 mesi durante la terapia di prima linea un ORR del 55% e un tasso di risposta completa del 45%, mentre nei pazienti non progrediti dopo 24 mesi l’ORR è risultato dell’83% e il tasso di risposta completa dell’80%.
Nel sottogruppo dei pazienti con punteggio basso dell’indice FLIPI (0-2), l’ORR è risultato dell’85% e il tasso di risposta completa del 75%, mentre nel sottogruppo con punteggio alto dell’indice FLIPI l’ORR è risultato del 70% e tutte le risposte sono state risposte complete.
Ulteriori analisi hanno mostrato un ORR del 68% nei pazienti refrattari all’ultima linea di terapia e dell’86% per quelli non refrattari, mentre il tasso di risposta completa nei pazienti refrattari è risultato del 40%, «una percentuale impressionante in questa popolazione» ha commentato la Diefenbach.
In coloro che erano stati sottoposti in precedenza a non più di due linee di terapia, l’ORR è risultato del 77%, mentre in coloro che ne avevano fatte non meno di tre è stato del 75%.
«Questi risultati convincenti giustificano ulteriori indagini in una popolazione di pazienti più ampia, poiché questa nuova tripletta potrebbe avere uno spazio come terapia per il linfoma follicolare recidivante e refrattario» ha sottolineato l’autrice.
Il follow-up mediano è per ora di 15,1 mesi e i dati non sono ancora abbastanza maturi per il calcolo della sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana, ha aggiunto la specialista, mentre la PFS a 12 mesi è risultata dell’83%.
Profilo di sicurezza senza sorprese
Il profilo di sicurezza della nuova tripletta è apparso coerente con i profili già noti di ciascuno dei singoli agenti.
L’evento avverso più comune di grado 3/4 è stato la neutropenia, che ha avuto un’incidenza del 55%, seguita da trombocitopenia (27%), infezioni (20%), anemia (14%) e neutropenia febbrile (11%).
Gli eventi avversi di particolare interesse sono stati il flare tumorale, in quattro pazienti, e la sindrome mielodisplastica e la neoplasia polmonare, in un paziente ciascuno.
I pazienti che hanno richiesto una riduzione della dose sono stati il 34%, mentre il 30% ha dovuto interrompere il trattamento a causa di eventi avversi.
Si è registrato anche un caso di shock settico di grado 5, ma questo evento avverso non è stato considerato correlato al trattamento in studio, in quanto il paziente stava ricevendo un nuovo trattamento anti-linfoma dopo essere andato incontro a progressione della malattia.