Linfoma non-Hodgkin, da uno studio FIL un nuovo approccio terapeutico per pazienti anziani: i dati ottenuti permetteranno di ridisegnare i criteri di inserimento nei trial clinici
Una ricerca condotta in 37 centri di oncologia ed ematologia italiani può finalmente cambiare l’approccio terapeutico dei pazienti anziani affetti da linfoma non-Hodgkin. I risultati di questo importante studio sono stati recentemente presentati ad Orlando durante il meeting dell’American Society of Hematology (ASH), il convegno mondiale di ematologia che riunisce ematologi da tutto il mondo, da Michele Spina, Presidente della Fondazione Italiana Linfomi. Sono stati raccolti dati su oltre 1350 pazienti oltre i 65 anni affetti da linfoma non-Hodgkin diffuso a grandi cellule B, una forma di tumore che colpisce le cellule del sistema linfatico e che necessita spesso di terapie aggressive per raggiungere la guarigione.
I ricercatori hanno selezionato i pazienti valutandoli non solo per l’età cronologica come si è fatto finora ma applicando le scale di valutazione geriatrica che hanno permesso di stratificare i pazienti in base alla loro capacità di essere autonomi nelle funzioni primarie (es. nel mangiare, vestirsi, lavarsi, ecc.), nelle funzioni di relazione (capacità di gestire in autonomia il proprio denaro, prendere in autonomia le medicine, gestire la casa, usare il telefono, ecc.) e la presenza di altre gravi patologie (es. cardiache, ipertensione, diabete, ecc.) in tre gruppi con “fitness” diversa: i pazienti FIT, gli UNFIT e i Fragili dimostrando che la sopravvivenza dei tre gruppi diminuisce in modo significativo passando dai primi (FIT) ai terzi (Fragili).
La novità del lavoro consiste nell’avere generato un nuovo score, una sorta di punteggio di gravità mettendo insieme la Fitness, l’età maggiore o inferiore agli 80 anni, le caratteristiche del linfoma e il valore dell’emoglobina. Si identificano così tre nuovi gruppi di pazienti la cui prognosi è completamente diversa. “La novità di tale score – commenta il dr. Spina – è quella di avere dimostrato che serve l’integrazione di tutti i parametri per poter definire il trattamento migliore dei nostri pazienti; finora si ragionava in termini di cut-off di età e non di validità funzionale o di riserva funzionale. I nostri dati permetteranno di ridisegnare i criteri di inserimento dei pazienti nei trial clinici nel senso che un ultraottantenne in buone condizioni può ricevere trattamenti simili a quelli dei più giovani con le dovute accortezze portando certamente ad un miglioramento della sopravvivenza di tale gruppo evitando tossicità inutili o addirittura di non trattare o sotto trattare alcuni pazienti con una patologia potenzialmente guaribile”.
I dati hanno suscitato molto interesse durante la presentazione, che è stata seguita da un coinvolgente dibattito finale, e sono stati ripresi da diversi ricercatori statunitensi durante la sessione educazionale del meeting ASH dedicata ai pazienti anziani.