Citomegalovirus, solo il 20% delle donne lo conosce: secondo una ricerca americana troppe adottano spesso dei comportamenti a rischio infezione
Il Citomegalovirus umano (CMV) rappresenta una seria minaccia per le donne in gravidanza perché in caso la madre trasmetta il virus al proprio feto, il CMV può causare una severa malattia congenita; ciò nonostante solo una donna su cinque sa dell’esistenza di questo virus. A rilevare questo gap è uno studio clinico pubblicato sulla rivista PLOS One da un team di ricercatori dell’Università del Minnesota. Gli studiosi hanno condotto un sondaggio tra 726 donne in età compresa tra 18 e 44 anni residenti nello Stato americano: le partecipanti erano ammissibili allo studio se non avevamo mai avuto una gravidanza o se questa era avvenuta negli ultimi dieci anni. Con grande sorpresa dei ricercatori, dal confronto fra questi due gruppi è emerso che le conoscenze sull’infezione e sulla malattia congenita da CMV sono piuttosto scarse, e scarsa è pure la consapevolezza tra le donne sulla gravità di questa patologia fetale, indipendentemente dall’aver già avuto una gravidanza o meno.
Solo il 20% delle partecipanti, infatti, ha dichiarato di aver sentito parlare di CMV; questa bassa percentuale di conoscenza è anche inferiore a quella che le intervistate hanno su altre malattie pediatriche. In particolare, la quasi totalità delle donne sa che cos’è l’influenza, la sindrome di Down e l’autismo; a seguire la sindrome della morte improvvisa infantile (SIDS), la sindrome alcolica fetale, il virus Zika, la rosolia, lo streptococco di gruppo B, i difetti del tubo neurale e la toxoplasmosi. L’unica malattia conosciuta meno del CMV è risultata quella causata dal finto virus chiamato “Jolivirus”, indicata dal 7,7% delle donne. In conclusione, la maggior parte delle donne intervistate ha erroneamente ritenuto che l’infezione/malattia congenita da CMV fosse meno comune di altre gravi condizioni patologiche che complicano la salute del feto o del neonato.
Fra tutte le donne che conoscevano il CMV, le fonti di informazione più comunemente citate sono state la scuola (37,9%) e il lavoro (36,6%). Nelle domande a risposta multipla, solo il 13,1% di tutte le partecipanti ha risposto correttamente che la malattia congenita da CMV è la causa più frequente di compromissione cerebrale e solo il 14,9% ha identificato la sordità come la disfunzione più comune associata a questa patologia. Oltre la metà delle donne (il 55%) ha risposto correttamente che negli Stati Uniti lo screening materno per il CMV in genere non viene offerto durante la gravidanza, tuttavia un quarto di loro non sapeva che cosa fosse lo screening prenatale. Una percentuale ancora minore (il 38,6%) ha risposto correttamente che negli U.S.A. i neonati in genere non sono sottoposti a screening per CMV alla nascita.
È comunque importante sottolineare che dopo aver acquisito corrette conoscenze sull’incidenza dell’infezione congenita da CMV e sui rischi di insorgenza di severi sintomi nei neonati, le donne maggiormente consapevoli hanno dimostrato grande interesse per i programmi di screening, sia per sé stesse sia per i loro neonati. Infatti, il 96,4% delle partecipanti al sondaggio ha ritenuto che lo screening in gravidanza dovrebbe essere offerto a tutte le donne e il 76,6% ha indicato che lo avrebbe certamente scelto in caso di gravidanza. Allo stesso modo, il 96,2% delle partecipanti ritiene che lo screening del neonato alla nascita dovrebbe essere offerto e l’82,1%, se dovesse avere un bambino in futuro, sceglierebbe di sottoporlo a questo esame.
“L’infezione da CMV acquisita dopo la nascita è tipicamente un’infezione asintomatica, ubiquitaria e largamente diffusa in età infantile”, spiega la prof.ssa Tiziana Lazzarotto, responsabile del Laboratorio di Virologia della U.O. di Microbiologia del Policlinico Sant’Orsola, Università di Bologna. “Alla fine del primo anno di vita, circa il 40% dei bambini ha contratto l’infezione ed elimina il CMV con le urine e/o con la saliva per periodi anche molto lunghi. I bambini, in questo caso, stanno benissimo e non c’è alcun rischio correlato al CMV per la loro salute, immediato o a distanza di tempo. L’unico periodo critico per la salute dei bambini rimane la trasmissione del virus in gravidanza, in particolare durante il primo trimestre di gestazione. Gli studi condotti in tutto il mondo – continua la prof.ssa Lazzarotto – dimostrano come nelle donne in età feconda gioca un ruolo importante per l’acquisizione dell’infezione da CMV in gravidanza il contatto molto stretto e quotidiano con i bambini piccoli. Vi sono fondate evidenze scientifiche, infatti, che documentano che per limitare il rischio di infezione materna da CMV in gravidanza è utile insegnare alle gravide (in particolar modo le donne IgG e IgM negative per CMV) di mettere in pratica alcune misure preventive, particolarmente nei confronti di bambini piccoli che sono la principale fonte di contagio, quali il semplice ma accurato lavaggio delle mani prima e dopo l’accudimento dei bambini, o il non condividere con loro cibo e suppellettili da tavola, né baciarli sulla bocca o in prossimità di questa”.
Nel sondaggio, alla domanda su quali misure igienico-comportamentali devono essere adottate dalle gestanti per prevenire l’infezione materna da CMV e quindi ridurre la trasmissione da madre a feto, un’alta percentuale di donne ha riferito di compiere invece alcune attività che favoriscono la trasmissione del virus al feto, tra cui baciare i bambini sulle labbra o sulle guance (80,7%), condividere con loro tazze (83,2%), piatti e posate (82,2%) e il cibo (88,6%), e ancora portare alla bocca succhiotti o ciò che il bimbo ha messo in bocca.
I risultati di questo studio clinico americano, che possono essere applicati in tutto il mondo, dimostrano chiaramente la necessità per le donne in età feconda di avere una maggiore consapevolezza e conoscenza sulla prevenzione dell’infezione materna da CMV, sui rischi di acquisire per la prima volta l’infezione da CMV in gravidanza e sulla possibilità che in caso di trasmissione del virus al feto, esso possa causare una severa malattia con danni neurosensoriali, principalmente la sordità o danni neurologici.