Interruzione volontaria di gravidanza: parla Paola Lopizzo, responsabile centro di Ivg al San Giovanni Addolorata di Roma
Non sempre si è pronti per una gravidanza. I motivi possono essere i più disparati, da quelli economici a quelli sociali, da quelli fisici della donna o che coinvolgono la salute del feto. In ogni caso, quel che certo, è che optare per l’aborto non è solo una scelta personalissima, ma anche molto dolorosa che può coinvolgere donne di età e nazionalità differenti. Ma cosa bisogna fare per intraprendere questo percorso, quali sono i tempi consentiti dalla legge per interrompere una gravidanza, e cosa prevedono le differenti procedure di Ivg? A dare risposte precise all’Agenzia Dire (www.dire.it) su un argomento di cui ancora oggi si parla poco e con molta ritrosia è Paola Lopizzo, responsabile centro di Interruzione volontaria di gravidanza all’ospedale San Giovanni Addolorata di Roma.
Qual è l’iter che una donna deve seguire per avviare una interruzione volontaria di gravidanza?
“Non esiste solo una tipologia di Interruzione Volontaria della Gravidanza (IVG). La più conosciuta è sicuramente quella che avviene nel primo trimestre di gravidanza (entro i primi 90 giorni dall’ultima mestruazione). La paziente in questo caso può ricorrervi per differenti motivi che possono essere medici, personali oppure economici. L’accesso avviene per due differenti vie: tramite consultorio che accoglie la donna per un primo colloquio inviandola successivamente all’ospedale oppure con accesso diretto alla struttura ospedaliera. Nel primo trimestre di gravidanza (entro il 90esimo giorno dall’ultima mestruazione) si può ricorrere a seconda dei casi a una Ivg farmacologica o a una Ivg chirurgica in regime di day hospital: farmacologica entro le prime 7 settimane, chirurgica successivamente. Le cose invece cambiano se la donna si rivolge ad un centro Ivg dopo il primo trimestre ossia dopo il 90esimo giorno dall’ultima mestruazione. Le motivazioni previste dalla normativa vigente sono più limitate e cioè l’interruzione è ammessa nel caso in cui la prosecuzione della gravidanza o il parto comportino un grave rischio per la vita della donna come nel caso di una paziente affetta da tumore della mammella per la quale posticipare le terapie rappresenta un’ incognita e un rischio che non si sente di correre. E ancora nel caso di gravi malformazioni del feto evidenziate dalle indagini di diagnostica prenatale (amniocentesi, villocentesi, ecografie morfologiche etc.). In questi casi, rispetto ai precedenti, la metodica è più complessa in quanto va indotto un travaglio abortivo ed è previsto perciò un regime di ricovero ordinario. Per l’accoglimento della richiesta, il ginecologo del servizio ostetrico-ginecologico che effettua l’intervento può avvalersi di tutte le consulenze mediche e psicologiche necessarie per l’inquadramento del caso. Per la paziente, si tratta sicuramente di un percorso più gravoso e invasivo, sia dal punto di vista medico che psicologico”.
In cosa consiste la procedura?
“Nel primo e nel secondo trimestre, come per qualsiasi altro intervento, si procede ai necessari approfondimenti clinici tra i quali un’ ecografia che identifichi con precisione la settimana di gravidanza, specifiche analisi del sangue e strumentali. Nel caso di interruzioni entro il 90esimo giorno ossia 12 settimane e 6 giorni, il metodo chirurgico in regime di day hospital comporta l’ingresso in ospedale dalla mattina sino all’ora di pranzo, prevedendo di fatto un’isterosuzione che tradotto è una aspirazione del prodotto del concepimento. Nel caso di interruzione farmacologica della gravidanza, dopo i controlli clinici, alla paziente viene somministrato un primo farmaco, identificato con la sigla RU-486, il giorno che identifichiamo come giorno 1 e la paziente può tornare a casa. Il principio attivo della RU-486 è il mifepristone, un antiprogestinico che agisce bloccando l’azione del progesterone, l’ormone che assicura il mantenimento della gravidanza in condizioni normali. L’azione del mifepristone viene completata due giorni dopo, in regime di day hospital, il giorno che identifichiamo come giorno 3. La paziente assume un secondo farmaco, il misoprostolo, una prostaglandina che è in grado di determinare un’attività contrattile dell’utero favorendo l’espulsione del prodotto del concepimento. Utile una ecografia al termine della procedura per accertare che la gravidanza si sia interrotta effettivamente. Dopo un intervallo di due settimane viene programmato un controllo medico, sia in caso di Ivg chirurgica che farmacologica. Nel caso di interruzione durante il primo trimestre, al San Giovanni Addolorata, proponiamo un percorso per suggerire alla donna il metodo contraccettivo più adeguato per prevenire altre gravidanze indesiderate e ridurre in questo modo il ricorso all’Ivg. Nel caso invece di aborto terapeutico per patologia fetale proponiamo un percorso clinico dedicato per supportare la donna nel corso di follow up di diagnostica pre- e postnatale qualora voglia pensare a una successiva gravidanza”.
Dopo una interruzione di gravidanza è necessario seguire un trattamento terapeutico o avere certe accortezze?
“Si può riprendere la vita di tutti i giorni, sia che la donna abbia subito una Ivg con metodo chirurgico o farmacologico. Possono essere presenti modeste perdite di sangue o accusare qualche dolore addominale. La procedura impatta fisicamente e psicologicamente e in tutti i casi è un’ esperienza dolorosa. Nell’interruzione del secondo trimestre, cioè in caso di aborto terapeutico dopo il terzo mese, la sintomatologia del post può essere più significativa”.
Quante Ivg vengono praticate nella vostra struttura, chi sono le donne che si rivolgono a voi ed esistono delle liste d’attesa?
“L’ospedale San Giovanni Addolorata di Roma è il secondo centro nel Lazio per numero di pratiche eseguite. Registriamo 1300 Ivg l’anno entro la 12esima settimana di gravidanza e 70 aborti terapeutici del secondo trimestre. Non ci sono tempi di attesa notevoli. Certamente una richiesta che ci giunge intorno alla 12esima settimana è più urgente di altre, ma in ogni caso abbiamo un’ organizzazione che non prevede una attesa superiore a 1 settimana. In casi specifici sono le pazienti stesse che dopo il primo colloquio informativo ci chiedono più tempo per elaborare al meglio questa scelta. Direi che non c’è un profilo tipo di donne che si rivolgono a noi: è una situazione trasversale che può interessare qualsiasi donna di qualunque condizione sociale, economica, culturale o di appartenenza etnica. Comunque dai dati 2018 emerge che un 25% del totale Ivg è praticato su donne straniere. Nel caso invece di pazienti minorenni è necessario che la richiesta di Ivg sia firmata anche dai genitori. Se il minore non vuole farlo sapere alla famiglia, la legge italiana tutela molto la giovane donna e prevede che il giudice tutelare possa controfirmare tale certificato per dare corso alla pratica. In questo caso le Ivg su minori che abbiamo praticato da dati 2018 oscillano tra il 2 e il 3% del totale”.
È un argomento di cui si parla troppo poco. Cosa ne pensa?
“Sì il tema dell’interruzione volontaria di gravidanza è un tema molto spesso poco navigato, quasi un tabù e le persone finiscono per saperne poco. Anche all’interno di eventi e convegni nell’ambito della Ostetricia e Ginecologia gli spazi dedicati sono irrisori; certamente è un aspetto doloroso rispetto alla gravidanza e al parto, ma ha comunque una rilevanza fondamentale per la salute e la vita della donna. E poi c’è tutto l’aspetto da affrontare degli obiettori di coscienza che in Italia sono la maggioranza. Di contraccezione se ne parla, ma mai abbastanza dal momento che siamo tra gli ultimi nelle classifiche europee per quanto riguarda l’utilizzo di contraccettivi. Ecco perché rendere le donne sempre più consapevoli nelle scelte di salute è importante”.