Screening neonatale, sviluppati nuovi test per diverse malattie rare: l’obiettivo è trovare soluzioni per la diagnosi precoce di patologie come SMA, SCID e XLA
Dall’avvento dello screening neonatale, più di cinquant’anni fa, i laboratori di analisi di tutto il mondo affrontano la sfida di individuare un numero sempre maggiore di malattie. Per superare queste criticità, i ricercatori sono costantemente impegnati a trovare le soluzioni migliori, e anche le più efficaci in termini di costi: le invenzioni più recenti arrivano dagli Stati Uniti e dal Giappone. La prima novità è un test sviluppato dall’azienda americana PerkinElmer, che si propone di semplificare il rilevamento di tre condizioni già incluse nei pannelli di screening neonatale di alcuni Paesi, o che lo saranno probabilmente nel prossimo futuro: l’atrofia muscolare spinale (SMA), le immunodeficienze combinate severe (SCID) e l’agammaglobulinemia legata all’X (XLA).
I test molecolari nello screening neonatale sono relativamente nuovi: il primo è stato implementato nel 2008 per rilevare le SCID, un gruppo di circa venti malattie genetiche rare caratterizzate da severe alterazioni nel funzionamento del sistema immune. Nel 2010, lo screening per le SCID è stato aggiunto al RUSP, l’elenco di tutte le malattie genetiche raccomandate per lo screening neonatale negli Stati Uniti. Più recentemente, nel luglio 2018, è stata la volta della SMA, una rara malattia neuromuscolare caratterizzata dalla perdita dei motoneuroni, che provoca una debolezza progressiva agli arti inferiori e ai muscoli respiratori.
In diversi Paesi, un’altra immunodeficienza primitiva è stata considerata una condizione da aggiungere ai pannelli di screening: è l’agammaglobulinemia legata all’X (XLA), causata da una mutazione nel gene BTK che impedisce il normale sviluppo dei linfociti B e che provoca un grave deficit anticorpale. Nei pazienti con immunodeficienze primitive, la diagnosi precoce anticipa la somministrazione di trattamenti che portano a prognosi migliori, come il trapianto di cellule staminali per le SCID o la terapia con infusione di immunoglobuline per la XLA. Un recente studio ha rivelato che grazie allo screening neonatale è stato possibile garantire una sopravvivenza del 94% ai neonati californiani trovati positivi alle SCID.
Per questi motivi, PerkinElmer ha sviluppato un test multiplex real-time PCR, che utilizza una tecnica di estrazione del DNA semiautomatica e si basa sul metodo dried blood spot (DBS), cartoncini assorbenti sui quali vengono essiccate le gocce di sangue prelevate dai pazienti. Il test è in grado di identificare l’assenza dell’esone 7 nel gene SMN1, che si verifica in circa il 96% dei pazienti affetti da SMA, e allo stesso tempo consente lo screening di neonati con forme gravi di immunodeficienze primitive. Come ha dimostrato un gruppo di ricercatori statunitensi, finlandesi e danesi, il test può elaborare un numero variabile di campioni dried blood spot che va da 32 a più di 1.500, in meno di otto ore. Le sue prestazioni sono state dimostrate su oltre 3.000 campioni di DNA, confermandone l’affidabilità e l’accuratezza analitica. Secondo gli esperti, la flessibilità del test consentirà di utilizzarlo in laboratori sia a bassa che ad alta produttività, che potrebbero dover elaborare più di un migliaio di campioni al giorno.
La seconda novità arriva dal Giappone e riguarda ancora la SMA, che fino a pochi anni fa era considerata una malattia incurabile. Oggi, invece, la somministrazione intratecale di un oligonucleotide antisenso, il nusinersen, ha dimostrato di migliorare le condizioni cliniche dei bambini affetti. Il farmaco agisce modificando lo splicing del gene SMN2 e aumentando quindi la produzione di una proteina SMN funzionale, a lunghezza intera. Il trattamento con nusinersen sembra determinare un risultato clinico migliore quando viene iniziato nella prima infanzia: la diagnosi precoce e l’inizio del trattamento, idealmente prima dello sviluppo di sintomi evidenti, sono importanti per una risposta ottimale al farmaco. Tuttavia, senza lo screening neonatale per la SMA, il trattamento potrebbe iniziare solo quando un numero significativo di motoneuroni è già stato perso.
Va in questa direzione il brevetto depositato recentemente da un gruppo di ricercatori giapponesi: un nuovo sistema di screening per la SMA, finanziato da Biogen Japan. Come hanno spiegato gli studiosi, il sistema consiste in due fasi: la prima è la pre-amplificazione mirata, mediante reazione a catena della polimerasi (PCR), della sequenza contenente i geni SMN1 e SMN2 nel DNA estratto dai dried blood spot. Il passaggio successivo è l’utilizzo della tecnica real-time mCOP-PCR (modified competitive oligonucleotide priming-PCR), che rileva la delezione nel gene SMN1. Il team giapponese ha convalidato l’accuratezza del nuovo sistema in 50 pazienti con SMA geneticamente confermata e in 50 persone nel gruppo di controllo, e l’esito è stato eccellente: sia la sensibilità che la specificità sono risultate del 100%.
Il gruppo ha poi condotto anche uno studio prospettico di screening per la SMA utilizzando i dried blood spot di 4.157 neonati giapponesi: tutti i DBS sono risultati negativi e non si sono verificati errori di screening. “Il nostro sistema rileva rapidamente e accuratamente la delezione dell’esone 7 nel gene SMN1, anche in campioni di DNA di scarsa quantità e qualità”, hanno sottolineato i ricercatori. “Questo studio pilota ha dimostrato con chiarezza che si tratta di un metodo utile per lo screening della SMA, che facilita la diagnosi precoce dei neonati asintomatici e consente di iniziare il trattamento prima che si verifichino danni irreversibili ai motoneuroni. Il nostro metodo, appena sviluppato, si è dimostrato quindi affidabile ed è pronto per essere applicato nello screening neonatale della SMA”.
Leggi gli articoli completi sul sito Osservatorio Screening Neonatale:
– “Sviluppato un test per lo screening neonatale simultaneo di SMA, SCID e XLA”.
– “SMA, in Giappone un nuovo sistema per lo screening neonatale”.