Sclerosi multipla, secondo un nuovo studio un alto indice di massa corporea e bassi livelli di vitamina D possono essere fattori causali già dall’infanzia
Uno studio appena pubblicato su “Neurology, Neuroimmunology & Neuroinflammation” fornisce nuove prove del fatto che l’indice di massa corporea (BMI) prima dei 10 anni rappresenta un fattore di rischio causale indipendente per lo sviluppo della sclerosi multipla (SM), rafforzando al contempo l’evidenza del ruolo causale anche della vitamina D nella patogenesi della SM.
Differenti fattori di rischio ambientali per la SM includono bassi livelli sierici di 25(=H)D3, obesità, infezione da virus di Epstein-Barr e fumo. In ogni caso, le associazioni che risultano dagli studi osservazionali sono soggette a confondimento e inversioni di nesso causale, fanno notare gli autori coordinati da Ruth Dobson, dell’unità di neurologia preventiva presso il Wolfson Institute of Preventive Medicine della Queen Mary University di Londra.
Perché è stata necessaria la randomizzazione mendeliana?
Per questo motivo i ricercatori in questo studio hanno utilizzato la randomizzazione mendeliana (RM): «un tipo di analisi» spiegano « che serve anche a sfruttare le associazioni fra varianti genetiche e tratti genetici [basati sul coinvolgimento di più di un gene, ndr] per fare inferenze causali sulle associazioni ‘esposizione-esito’».
«Nelle analisi di RM» proseguono «le varianti genetiche associate a un tratto genetico sono combinate per formare uno strumento variabile che agisce da intermediario (proxy) per il tratto stesso».
«Poiché le varianti genetiche sono allocate casualmente e (generalmente) non mutano per tutta la vita di un individuo, la RM fornisce un mezzo per ridurre i bias insiti negli studi epidemiologici classici, rendendola uno strumento utile per aiutare a distinguere le vere relazioni causali dagli epifenomeni» scrivono Dobson e colleghi.
Pregressi studi di MR hanno dimostrato rapporti causali tra bassi livelli di vitamina D, BMI nell’adulto e rischio di SM, con risultati contraddittori per il BMI infantile. Sono ora disponibili ampi studi di associazione su tutto il genoma (GWAS) che consentono stime più precise delle dimensioni dell’effetto.
Laddove sono disponibili associazioni di polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) sia con il fattore di rischio di interesse sia con una potenziale variabile confondente putativa, l’analisi MR multivariata può consentire un controllo per i fattori di confondimento.
Dati tratti da vasti dataset genetici
Obiettivo di questo studio è stato dunque quello di aggiornare le stime causali per gli effetti del BMI dell’adulto e dell’infanzia, oltre che dello stato della vitamina D, sul rischio di SM. Per determinare le stime causali, gli autori hanno utilizzato la RM a due campioni. Statistiche riassuntive per le associazioni SNP con tratti di interesse sono state ottenute da vari dataset genetici:
- The Early Growth and Genetics consortium meta-analysis (su 35.668 soggetti);
- The Genetic Investigation of ANthropometric Traits (GIANT) consortium meta-analysis (>700,000);
- The SUNLIGHT consortium GWAS (79,366);
- The International Multiple Sclerosis Genetics Consortium discovery phase GWAS (14,802 SM,26,703 controlli).
«Le analisi primarie sono consistite in una meta-analisi ponderata per la varianza inversa degli effetti casuali, seguita da analisi di sensibilità secondarie» scrivono gli autori.
All’aumentare del BMI sale il rischio di SM, ridotto invece da valori più alti di vit. D
Ogni aumento del BMI geneticamente determinato in età pediatrica (OR 1,24; IC al 95% 1,05-1,45; p = 0,011) e del BMI nell’adulto (OR 1,14; IC al 95% 1,01-1,30; p = 0,042) sono risultati associati a un aumentato rischio di SM. L’effetto del BMI geneticamente determinato nell’adulto sul rischio di SM è diminuito dopo l’esclusione di 16 varianti associate al BMI infantile (OR 1,11; IC al 95% 0,97-1,28; p = 0,121).
La correzione degli effetti della vitamina D sierica in un’analisi multivariata non ha invece modificato la direzione o la significatività di queste stime. Ogni aumento di unità geneticamente determinato nel livello di vitamina D era associato a una riduzione del 43% delle probabilità di SM (OR 0,57; IC al 95% 0,41-0,81; p = 0,001).
«Abbiamo dimostrato, in linea con gli studi precedenti, che ogni aumento di unità geneticamente determinato del BMI nell’adulto è associato a un aumento del 14% delle probabilità di SM, valore che sale al 19% dopo correzione degli effetti dello stato della vitamina D sierica» sostengono gli autori.
Tale aumento è attenuato escludendo le varianti associate al BMI dell’infanzia, portando a ipotizzare che le varianti associate ad entrambi i fenotipi possano essere quelle con maggiori dimensioni di effetto, spiegano Dobson e colleghi.
«Infine», ribadiscono i ricercatori, «abbiamo dimostrato che ogni aumento di unità geneticamente determinato nel siero di vitamina D è associato a una riduzione del 43% delle probabilità di SM, dato coerente con studi precedenti».
Questo incremento, rilevano, persiste dopo correzione di fattori di confondimento correlati al BMI. Vi è inoltre un ulteriore piccolo ma significativo effetto di causalità inversa: la SM predispone a una riduzione dei livelli sierici di vitamina D.
«Anche se è chiaro che il trattamento dell’obesità infantile e dei bassi valori di vitamina D a livello di popolazione non è una strategia di prevenzione efficace per la SM, è probabile che affrontare questi fattori di rischio nella prima infanzia tra gli individui ad alto rischio (per esempio, quelli con una forte storia familiare e quindi con una più alta incidenza di base) avrà un effetto più pronunciato» concludono gli autori.