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Interruzione volontaria di gravidanza: quali sono i rischi

Mortalità materna sottostimata e migliaia di casi di danni alla salute: Pro Vita Famiglia presenta il nuovo dossier sull'aborto

Interruzione volontaria di gravidanza, ecco come funziona e quali sono i rischi secondo gli esperti dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma

Non sempre una gravidanza arriva al momento giusto o con il partner dei sogni, oppure sussiste un chiaro rischio per la vita della donna tale da richiederne l’interruzione. Qualunque sia il motivo l’aborto non è mai una decisione semplice. Una possibilità però che è stata sancita nel nostro Paese con l’entrata in vigore nel 1978 della legge 194. Per capire meglio ogni aspetto di questo tema, l’agenzia di stampa Dire (www.dire.it) ha ascoltato il punto di vista della dottoressa Giovanna Scassellati, responsabile dell’Uosd ‘Legge 194’ dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma, primo centro nella regione Lazio, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, per numero di procedure ogni anno:

– Quanti tipi di interruzione di gravidanza volontaria sono previsti e quali sono i tempi definiti dalla legge?

“L’interruzione volontaria di gravidanza prevede, fino alle 12 settimane, due possibilità, ossia una di tipo farmacologico e una di tipo chirurgico. La farmacologica è entrata in vigore nel nostro Paese nel 2009 e prevede la somministrazione di due farmaci. Il primo è il mifepristone, mentre dopo 48 ore si procede con la somministrazione delle prostaglandine. Il primo farmaco crea una induzione dell’endometrio e conseguente ammorbidimento del collo dell’utero, pronto così a ricevere le prostaglandine che producono i cosiddetti ‘dolori’ che rendono possibile l’uscita del materiale. Questa procedura in Italia è consentita solo fino al 49esimo giorno di gravidanza, mentre negli altri Paesi è ammesso fino al 63esimo giorno. In realtà è un metodo sicuro con pochissime conseguenze. Il protocollo è semplice e il giorno dell’Ivg si consiglia alle donne di astenersi dal fumo e di vivere una vita il più possibile tranquilla. Il 5% delle donne già solo con il primo farmaco riesce ad abortire. Nei Paesi stranieri l’Ivg farmacologica copre l’80% delle Ivg totali praticate, mentre in Italia le percentuali sono molto basse a causa di resistenze culturali. L’aborto chirurgico, invece, può essere praticato fino alle 12 settimane, e cioè 90 giorni dal concepimento, e consiste nell’aspirazione del materiale, detta isterosuzione. A seguito dell’Ivg, noi ginecologi parliamo alle donne dei differenti metodi di contraccezione, anche perché come ospedale aderiamo ad Programma nazionale sulla contraccezione promosso dall’Agoi che punta molto alla contraccezione long active. Ecco perché le donne che lo desiderano possono inserire la spirale contestualmente all’Ivg. Noi consigliamo taluni metodi contraccettivi anche alle donne giovani, poiché si può andare incontro a più gravidanze, e a più aborti”.

– Il San Camillo, secondo dati Iss, è il primo ospedale del Lazio per numero di accessi giornalieri per Ivg. Quante procedure praticate ogni anno e come è organizzato il vostro servizio?

“Questo reparto ha registrato sempre il numero maggiore di Ivg nella regione Lazio. Tanto che nell’anno 2019 il nostro ospedale ha registrato 857 Ivg farmacologiche e 1.200 Ivg chirurgiche, di cui 150 praticate a seguito di diagnosi prenatale. L’ambulatorio è aperto tutti i giorni e le pratiche di Ivg vengono effettuate in day hospital. Nello stesso orario di servizio del centro Ivg è attivo un ambulatorio dedicato alla contraccezione. Questo anche perché la legge parla chiaro, nel testo c’è un chiaro invito ai ginecologi che praticano Ivg a fare poi counselling sulla contraccezione. Credo inoltre vada fatta maggiore informazione su questo punto, ad esempio nel caso della pillola molti medici di Medicina generale dicono di sospendere la somministrazione, ed è in quell’intervallo che si registrano la maggioranza delle gravidanze indesiderate. Va anche ricordato che le possibilità contraccettive oggi sono davvero ampie, e spaziano dalla pillola al cerotto, dalla spirale al condom, anche quello femminile”.

– Dopo un aborto farmacologico o chirurgico, possono esserci effetti sulle successive gravidanze o sul nascituro?

“E’ difficile ci siano delle conseguenze. Può succedere, a livello psicologico, che la donna pensi alla scelta compiuta, ma non sussiste – lo dice la letteratura scientifica internazionale – alcuna chiara correlazione tra l’aborto e la depressione. Esiste invece ancora oggi una ritrosia a parlare di un tema delicato come questo e sono servite molte battaglie in questi anni per arrivare a una legge”.

– Diversa è la situazione nel caso di aborto spontaneo. Ce ne parla, e quali sono le cause più comuni?

“Innanzitutto è necessario capire l’epoca di gestazione. In linea generale l’80% degli aborti spontanei sono dovuti ad arrangiamenti cromosomici anomali nella meiosi e ciò avviene nel momento in cui ovocita e spermatozoo si incontrano. Di conseguenza questo non consente alla gravidanza di instaurarsi. Il problema dell’aborto spontaneo è soprattutto collegato all’età crescente della donna. Infatti l’età media per la prima gravidanza è di 37 anni. L’età biologica ideale è sicuramente un’altra, ma per problemi legati alla precarietà del lavoro la maternità adesso è sempre più posticipata”.

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