Due aziende indiane stanno mettendo a punto un piano di sviluppo per terapie CAR-T a costi ridotti da impiegare sul mercato interno e, in futuro, su quello mondiale
Le terapie che sfruttano le CAR-T stanno rapidamente conquistando l’interesse dei ricercatori, che lavorano per produrne versioni sempre più efficienti, precise e sicure, e quello dei pazienti, che finalmente vedono profilarsi nuove speranze per patologie fino a pochi anni fa inarrestabili. Gli enti regolatori di diversi Paesi, tra cui anche l’Italia, hanno già dato l’ok alla commercializzazione di due diversi trattamenti (Kymriah e Yescarta) per garantire ai pazienti con specifiche leucemie, o linfomi, trattamenti di ultimissima generazione. Ma, ancora una volta, il collo di bottiglia è rappresentato dai costi di queste terapie e dalla sostenibilità dei Sistema Sanitario Nazionali di ciascuna nazione.
Secondo un calcolo recente in Italia sarebbero circa 800 i pazienti adulti a beneficiare di questo genere di terapie ma in un Paese come l’India le stime indicano che i pazienti eleggibili oscillerebbero tra 20.000 e 40.000. Un numero spaventosamente alto che renderebbe impossibile per il Sistema Sanitario Nazionale l’erogazione in regime di rimborsabilità di trattamenti dal costo di circa mezzo miliardo di euro. Sulla scorta di ciò, come riportato da Nature lo scorso dicembre, due biotech indiane – Immuneel Therapeutics e ImmunoACT – hanno annunciato la loro volontà di rendere disponibili per il mercato indiano terapie CAR-T a un costo estremamente più basso di quello proposto nei Paesi occidentali. Così presentata l’idea potrebbe far arricciare il naso a più di qualche lettore ma la proposta indiana non ha un puro sapore sensazionalistico e, anzi, rivolge lo sguardo nella direzione in cui diversi studiosi stanno pensando di impegnarsi anche in occidente.
LA SOLUZIONE PRIVATA
Il modello di Immuneel (una start-up nata in seno a Biocon) prevede una rapida autorizzazione alla produzione di questa tecnologia seguita da una capillare razionalizzazione degli step produttivi. Il tutto seguendo le rigorose indicazioni delle norme di buona fabbricazione (Good Manufacturing Practices, GMP), indispensabili per la realizzazione di prodotti farmaceutici così delicati. Una tale piattaforma di produzione sarebbe offerta ai diversi ospedali che agirebbero così in maniera indipendente, in una sorta di modello “hub-and-spoke” nel quale Immuneel garantisce ai singoli ospedali l’accesso a tutti i passaggi produttivi e l’assistenza di personale qualificato in grado di fare formazione a tutto il personale coinvolto nella produzione e nella somministrazione delle CAR-T. “Il nostro obiettivo è quello di sviluppare un modello a basso costo che possa offrire una terapia all’avanguardia a un costo di circa 50.000 dollari”, afferma Kiran Mazumdar-Shaw, fondatrice e amministratrice delegata di Biocon, una donna che Forbes ha inserito al 65esimo posto nella classifica 2019 di tutte le donne più influenti al mondo.
Perno di questa proposta è la delocalizzazione del processo produttivo presso i singoli centri di cura, che potrebbe concorrere all’abbattimento dei costi di produzione favorendo, al contempo una riduzione dei tempi d’intervento sul paziente con un aumento delle possibilità di successo della terapia. Se tutto procederà secondi i piani aziendali, entro settembre 2020 la start-up indiana sarà pronta per trattare il primo paziente.
LA PROPOSTA PUBBLICA
Contrariamente a Immuneel, ImmunoACT è una start-up dalle origini universitarie, coltivata dall’Indian Institute of Technology di Bombay (IIT-B) e sostenuta dai finanziamenti di organizzazioni filantropiche all’interno della quale è stato studiato e realizzato un nuovo modello di CAR-T. Le cellule CAR-T anti-CD19 sviluppate da ImmunoACT, per il trattamento di forme di leucemia linfoblastica acuta refrattarie al trattamento, hanno un potenziale elevatissimo e hanno già ottenuto il via libera dei comitati etici locali ad essere impiegate nei primi studi clinici sull’uomo. Entro giugno del 2020 le sperimentazioni potrebbero avere inizio, rendendo così disponibile una terapia sicura ed efficace ad un costo stimato di circa 15.000 dollari (senza contare però le spese ospedaliere). “Quasi il 50-65% del costo di produzione delle CAR-T negli Stati Uniti è destinato alle spese per la manodopera qualificata”, spiega il dott. Rahul Purwar, che insieme a due suoi studenti ha fondato ImmunoACT. “In questo caso, invece, formeremo gli scienziati sulla nostra piattaforma. Ciò, oltre a una tecnologia che permette la produzione delle cellule CAR-T localmente, rende la nostra terapia meno costosa”. Che il modello proposto da Purwar e dal suo staff convinca è testimoniato anche dal supporto ricevuto dal Biotechnology Industry Research Assistance Council (BIRAC), un ente che si configura come una preziosa interfaccia tra il mondo dell’università e quello dell’industria e che fa capo all’Indian Department of Biotechnology (DBT).
La formazione del personale e lo spostamento dei siti produttivi presso gli ospedali stessi che ne faranno utilizzo (magari ricorrendo a strumentazioni semi-automatizzate che rendano ancora più semplice l’iter produttivo) sono le chiavi di volta per favorire una produzione di massa dall’effetto certamente positivo sul contenimento dei costi. Con conseguenze che potrebbero estendersi ben oltre i confini indiani. E chi ricordi la parabola della Star Deluxe, la copia della Vespa prodotta dall’indiana LML (Lohia Machinery Limited), non potrà che guardare con profondo interesse ciò che queste due realtà stanno cercando di attuare in India con le CAR-T. Infatti, circa dieci anni fa il successo della Star Deluxe fu tale da proiettarla davanti alla stessa Vespa nelle classifiche di immatricolazione. Un successo senza precedenti reso possibile da un tocco di personalizzazione, una ventata di modernità e, soprattutto, da un costo molto inferiore a quello dell’originale.