Sindrome di Prader-Willi: risvegliare alcuni geni per una possibile terapia. La ricerca punta a inibire una proteina per “accendere” quelli dormienti sul cromosoma materno dei pazienti
Se provassimo, con un po’ con di fantasia, a immaginare noi stessi come un enorme quadro elettrico, ricco di interruttori e lucine colorate, forse riusciremmo a comprendere che cosa significhi l’espressione ‘accendere’ (o ‘spegnere’) un gene. Quello che ci definisce per come siamo, infatti, è un oscillante equilibrio tra geni accesi, funzionanti, e geni silenziosi, non funzionanti. Tutto ciò può essere d’aiuto per capire il significato della ricerca della prof.ssa Marnie Blewitt, del Walter ed Eliza Hall Institute di Melbourne (Australia), che è specializzata in Biologia Molecolare e Genetica e da anni studia la sindrome di Prader-Willi, una patologia genetica ad oggi incurabile.
Alla prof.ssa Blewitt e alle persone che lavorano nel suo gruppo di ricerca sono state da poco elargite due cospicue borse di studio, messe a disposizione dalla Prader-Willi Research Foundation australiana e dalla Foundation for Prader-Willi Research degli Stati Uniti, che consentiranno la prosecuzione degli studi sul risveglio di geni, considerati ‘dormienti’, grazie a cui potrebbero essere corrette alcune delle anomalie genetiche che innescano la sindrome.
Prima di giungere al nocciolo della questione occorre però fare un po’ di chiarezza: la sindrome di Prader-Willi è una condizione che si manifesta fin dai primi giorni di vita con un certo grado di ipotonia, al quale si accompagnano difficoltà alimentari legate all’accrescimento. Nei mesi successivi alla nascita, infatti, si può osservare iperfagia (aumento dell’appetito) e conseguente obesità, mentre iniziano a evidenziarsi problemi a livello genitale (ipogonadismo e criptorchidismo) e a definirsi alcuni tratti peculiari del volto. Molti pazienti, inoltre, soffrono di ritardo mentale e deficit cognitivo, e in tanti altri sono evidenti problematiche comportamentali che necessitano di assistenza da parte di figure specializzate.
La sindrome di Prader-Willi è dunque una patologia multisistemica con una chiara origine genetica. È infatti provocata dall’assenza di una specifica regione del cromosoma 15 ereditato dal padre. Le persone affette dalla malattia posseggono, però, un’altra copia del cromosoma 15, su cui risiede la forma sana dei geni, ereditata dalla madre. Il problema è che tali geni materni sono inattivi e non possono compensare l’assenza, o l’alterata funzionalità, della copia del padre. Da ciò risulta che quando manca il gene paterno (o si riscontrano due copie di quello materno) la malattia è libera di manifestarsi.
La ricerca della prof.ssa Blewitt punta a risvegliare – o meglio a riattivare – i geni di origine materna presenti sul corrispondente cromosoma, usandoli come una ‘copia di backup’ per contrastare gli errori (o le lacune) di quelli paterni. “Se i geni materni sul cromosoma 15 potessero essere risvegliati, essi potrebbero aiutare a ridurre la gravità di alcuni sintomi della sindrome di Prader-Willi”, afferma l’esperta. “Pensiamo che ciò potrebbe migliorare la vita dei pazienti e di coloro che li assistono”.
Gli studi della proff.ssa Blewitt sono orientati a capire come i geni possano passare da uno stato ‘di veglia’ a uno ‘di sonno’ e, di conseguenza, quali ricadute ciò possa avere sulla genesi di molte patologie. “Una proteina chiamata SMCHD1 mantiene molti geni nel loro stato di sonno”, spiega Blewitt. “Abbiamo scoperto che i bersagli di SMCHD1 includono alcuni dei geni materni coinvolti nella sindrome di Prader-Willi e che se la proteina risulta inibita, i geni da essa controllati si risveglieranno e diventeranno funzionali”.
Le ricerche della prof.ssa Blewitt potrebbero, un giorno, essere determinanti per la messa a punto di farmaci specifici capaci di inibire SMCHD1 e favorire il risveglio dei geni da essa controllati. Un’ipotesi che sembra aver convinto anche Kathlene Jones, amministratore delegato della Prader-Willi Research Foundation australiana, che ha creduto nel lavoro della Blewitt spiegando che “puntare alla causa genetica della sindrome di Prader-Willi si spera significhi avviare un percorso di sviluppo mirato per un trattamento completo, efficace e facile da somministrare”. Una speranza condivisa da molte famiglie che, ogni giorno, fanno i conti con i mille problemi suscitati da una sindrome così complicata, e che si augurano che questo nuovo ‘interruttore’ possa accendere la luce di una terapia.